08 Marzo 2017, 06:04
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PALERMO – Ci avevano provato, almeno così racconta, a farle capire che era meglio tacere. Claudia La Rocca, invece, un mese dopo avere ricevuto un sms, che lei stessa definisce una “frecciata intimidatoria”, era seduta davanti ai pubblici ministeri di Palermo che indagano sullo scandalo “firme false” nel Movimento 5 Stelle. E ha confessato le sue colpe e quelle, presunte, di altri colleghi e attivisti. Il suo esempio sarebbe stato seguito da altre tre persone, il deputato regionale Giorgio Ciaccio e i militanti Stefano Paradiso e Giuseppe Ippolito.
Nel verbale di La Rocca c’è il resoconto della notte della ricopiatura di massa, quando si accorsero che avevano sbagliato il luogo di nascita di un candidato alle Amministrative di Palermo del 2012. Nel verbale emergono chiari i segni della spaccatura fra il gruppo dei deputati siciliani e i parlamentari nazionali “guidati” da Riccardo Nuti, candidato a sindaco nel 2012 e “ispiratore” della ricopiatura delle firme.
Alle 15.30 dell’8 novembre scorso, La Rocca si presenta in Procura accompagnata dall’avvocato Valerio D’Antoni. Dopo gli esposti anonimi e i servizi giornalistici lo scandalo “firme false” diventa un caso giudiziario. Sono trascorsi più di quattro anni da quelle elezioni, ma alcuni passaggi dei ricordi del deputato regionale sono nitidi. “I primi di aprile 2012” aveva ricevuto una telefonata da Ciaccio o Alice Pantaleone, “Riccardo Nuti aveva avuto un’accesa discussione con Samanta Busalacchi perché quest’ultima aveva commesso un errore nell’indicazione del luogo di nascita di Giuseppe Ipollito e tra gli attivisti si temeva che tale errore avrebbe potuto compromettere la presentazione della lista”.
Da qui la convocazione del 2 aprile 2012 nella sede palermitana del Movimento, in un piccolo ufficio in via Sampolo. La Rocca fa l’elenco delle persone con cui si trovò a discutere: “Giorgio Ciaccio, Riccardo Nuti, Samanta Busalacchi, Claudia Mannino e presumo il marito Pietro Salvino, e Alice Pantaleone”. Al suo arrivò la decisione era già stata presa, bisognava ricopiare le firme: “Mi convinsi che tutto sommato si trattava di ripetere, sia pure falsamente, firme reali. Abbiamo diviso i moduli da ricopiare, oltre a me ricordo che c’erano alla mia destra Claudia Mannino e Samanta Busalacchi, e Giorgio Ciaccio, che ricordo nell’atto di ricopiare, e la Pantaleone, ma non sono sicuro che firmasse anche lei”.
Ore frenetiche, si badava più alla sostanza che alla forma: “Per simulare l’autenticità credo che si sia provato a ricopiare il tratto grafico ma senza particolare cura anche perché c’era la necessità di fare in fretta il lavoro”. Un lavoro sporco sotto la guida di un presunto regista: “Il referente di tutta l’attività era sempre Riccardo Nuti che era il più interessato e che aveva rimproverato la Busalacchi che era mortificata perché si sentiva responsabile dell’errore. Non ho difficoltà a ritenere che sia stato lui l’ispiratore della copiatura perché era il candidato a sindaco, candidato capolista e il più preoccupato di una possibile esclusione”. Del successivo e decisivo passaggio dell’autenticazione delle firme “immagino che si sia occupato Francesco Menallo che era avvocato ed era la persona a cui facevamo riferimento in quanto più grande di noi e più esperto di diritto”.
I ricordi di La Rocca si spostano fino ai primi giorni dell’ottobre scorso. Le Iene hanno trasmesso il servizio sulle firme false. Due giorni dopo la messa in onda La Rocca annuncia a una dozzina di suoi colleghi deputati regionali che è tutto vero, le firme sono state ricopiate e lei si autodenuncerà ai magistrati. La vicenda viene inserita all’ordine del giorno della riunione settimanale del gruppo parlamentare dell’Ars.
E qui si registra la frattura insanabile con il gruppo nazionale: “Mannino mi ha telefonato chiedendomi di partecipare alla riunione per fornire la sua versione. Dopo uno scambio di idee coni colleghi regionali si ritenne inopportuna la sua presenza perché si pensava che Mannino avrebbe fornito una versione non veritiera della vicenda”.
Non è tutto, La Rocca tira fori il telefonino. Ha conservato gli Sms che si è scambiata con Mannino. In uno di questi si legge: “Se ci sarà la riapertura del caso ognuno dirà le sue cose ma a quel punto credo tutti i soggetti coinvolti non credi?”. La Rocca non ha dubbi: “Ho perfettamente colto il senso di una frecciatina intimidatoria laddove la Mannino ha voluto chiaramente dirmi di stare attenta perché non avrebbe esitato a fare il mio nome”. Ed invece il caso, chiuso nonostante alcuni precedenti esposti, è stato davvero riaperto e il verbale di La Rocca è divenuto decisivo.
Il deputato nazionale Mannino è uno dei quattordici indagati per i quali il procuratore aggiunto Bernardo Petralia e il sostituto Claudia Ferrari stanno per chiedere il rinvio a giudizio. A sostituire i moduli con le firme ricopiate e dunque false sarebbero stati oltre a Mannino, La Rocca, Paradiso e Ippolito, anche Samanta Busalacchi (ex collaboratrice del Movimento alll’Assemblea regionale siciliana), Giulia Di Vita (parlamentari nazionali), gli attivisti Toni Ferarra, Alice Pantaleone, attivisti Pietro Salvino (marito della Mannino), il delegato di lista Riccardo Ricciardi. E sempre loro consegnarono la documentazione alla segretaria del Comune di Palermo dopo avere fatto il passaggio decisivo in Tribunale. Qui sarebbe entrato in gioco il cancelliere Giovanni Scarpello, l’uomo che avrebbe apposto sulla lista “una falsa attestazione di conformità”. Scarpello “su istigazione di Francesco Menallo”, avvocato e candidato alle elezioni, certificò che i cittadini avevano firmato in sua presenza. Falso, sostiene l’accusa, come le firme. E anche loro sono sotto accusa.
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08 Marzo 2017, 06:04