Asse Bagheria-Castelvetrano, 4 arresti | Una rapina per finanziare Messina Denaro

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17 Novembre 2015, 06:42

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PALERMO – Il puzzle dei protagonisti dell’assalto al deposito Tnt di Campobello di Mazara è completo. E soprattutto c’è l’ulteriore conferma dell’asse fra i clan mafiosi di Bagheria e Castelvetrano all’ombra di Matteo Messina Denaro. I carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani hanno arrestato quattro persone. Rappresentano il fronte palermitano della rapina di due anni fa. Tra questi, c’è Giorgio Provenzano, originario di Bagheria, al quale l’ordinanza di custodia cautelare è stata notificata in carcere dove è già detenuto per mafia. Bagherese è anche Benito Morsicato, il collaboratore di giustizia che aveva saputo della presenza del latitante, nei giorni della rapina, in una villa di Tre Fontane. Gli altri tre arrestati sono Michele Musso, Domenico Amari e Alessandro Rizzo.

Quello del novembre 2013, quando un commando armato fece irruzione nel deposito (GUARDA IL VIDEO), non fu un colpo qualsiasi, visto che i locali appartenevano alla Ag Trasporti, una Srl sequestrata perché riconducibile a Cesare Lupo, arrestato con l’accusa di essere un pezzo grosso della mafia di Brancaccio e “amministratore” dei beni dei fratelli Graviano. Francesco Guttadauro, nipote di Matteo Messina Denaro e considerato l’ideatore del colpo, andò in fibrillazione appena seppe di avere intaccato gli interessi dei mafiosi di Brancaccio. Poi, si sarebbe tranquillizzato perché il deposito era in amministrazione giudiziaria. Così aveva deciso la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, allora diretta da Silvana Saguto, il magistrato oggi sospeso perché travolto dallo scandalo sui beni confiscati.

Grazie all’aiuto di un basista il gruppo che faceva capo a Francesco Guttadauro e Luca Bellomo, altro nipote ma acquisito di Messina Denaro (ha sposato una Guttadauro, ndr), avrebbe fatto bottino grosso. Dal deposito sparirono 600 colli di merce e 17 mila euro in contanti. Ora il procuratore aggiunto Teresa Principato e i sostituti Maurizio Agnello e Carlo Marzella hanno ricostruito il ruolo dei bagheresi, perché fu a Bagheria che ebbero l’idea della rapina.

Di Giorgio Provenzano, già in cella con l’accusa di essere il capo decina della cosca di Bagheria, aveva parlato il cognato Benito Morsicato, divenuto collaboratore di giustizia: “Colui che ha investito un po’ dei soldi sulla rapina è stato Provenzano Giorgio di Bagheria… per fare i giubbottini della Polizia, perché la rapina è stata fatta vestiti da poliziotti, con passamontagna, vestiti da poliziotti…”.

Gli autori del colpo avrebbero dovuto lasciare una percentuale del bottino ai mafiosi trapanesi che avevano necessità di soldi in contanti per gestire la latitanza di Matteo Messina Denaro: “Il 10% doveva andare al paese, al paese significava a chi aveva tutta la zona in mano… allo zio… dopo la rapina si presentò Claudio (secondo gli investigatori, parlava di Girolamo Bellomo di cui confondeva il soprannome: Claudio al posto di Luca, ndr) che già era stata venduta della merce, perché c’erano delle esigenze, dopo gli arresti, delle esigenze che gli bisognava intorno ai 5, 8 mila euro, perché parlavano…”.

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Nel novembre dell’anno scorso furono arrestati, tra gli altri, Francesco Guttadauro e Patrizia Messina Denaro, sorella del latitante: “… gli servivano dei soldi perché c’era una persona molto in difficoltà e gli serviva del contante, e io sempre presumevo che si trattava o di lui o di qualcuno vicino a lui, per garantire la latitanza… Ruggero (Ruggero Battaglia, pure lui arrestato nel blitz di un anno fa, ndr)  gli diede 5000 euro… e in più poi al paese rimase… intorno ai 20.000 di merce della Thun”.

Morsicato era un soldato semplice del clan di Bagheria. Eppure alle sue orecchie sarebbe arrivata un’informazione top secret. “La rapina doveva essere fatta un mesetto prima – ha messo a verbale – il villino vicino alla strada Fiorilli, mi sembra che si chiama questa strada, dove sono state abbandonate le macchine, il villino che serviva d’appoggio, c’era… non si poteva fare prima il lavoro perché momentaneamente era in uso ad una persona che loro non specificavano però a un certo punto dicevano ‘lo zio’ ma io ho capito un po’ la situazione perché lui stesso mi diceva che era nipote di questa persona e io potevo capire un po’… poi questa persona forse si è allontanata da questo villino e si è organizzato per far lavoro per fare…”.

La villa di cui parlava Morsicato sarebbe di proprietà della madre di Giuseppe Nicolaci, arrestato l’anno scorso con l’accusa di avere fatto parte della banda dei rapinatori dell’Ag Trasporti. Sette vani a Tre Fontane, località balneare di Campobello di Mazara, in via Cile Ovest. L’abitazione si trova a nove chilometri dal deposito assaltato e sarebbe stata utilizzata come punto di appoggio da Bellomo e Nicolaci. Si tratta della stessa abitazione di cui, il 18 luglio 2014, la sorella di Nicolaci parlava con il marito: “C’è stato l’aereo della polizia sopra il “villino”.

 

 

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17 Novembre 2015, 06:42

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