Nuova mafia, vecchi boss |Stangata per il clan di Bagheria

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20 Novembre 2015, 06:39

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PALERMO – Ci sono i picciotti e i capimafia di Bagheria. I pezzi da novanta che parteciparono al tentativo di ricostituire il vecchio direttorio di Cosa nostra e gli uomini che facevano il lavoro, sporco ma redditizio, delle estorsioni. Per ventiquattro imputati oggi è arrivata la stangata giudiziaria con la pioggia di condanne inflitte dal Tribunale di Palermo. La sentenza è stata emessa nella tarda serata di ieri, ad un’ora dalla scadenza dei termini di custodia cautelare. Scongiurata, dunque, una scarcerazione di massa.

Tra i vecchi boss sempre in auge, dopo avere scontato lunghe condanne, ci sarebbero stati Giuseppe Di Fiore e Nicolò Greco. Il primo sarebbe stato il braccio operativo del secondo, considerato la testa dell’acqua ma che nel frattempo è deceduto. Quando Di Fiore fu arrestato, nel 2005, nel doppiofondo del comodino di casa nascondeva la lista dei commerciante da mungere con il racket. Nel 2014, anno del blitz Reset da cui è scaturito il processo, la storia si sarebbe ripetuta. Il pizzo lo hanno pagato 44 commercianti. Molti, seppure costretti dalle evidenze investigative, hanno ammesso di avere subito le angherie mafiose.

Le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo hanno dato una chiave di lettura sulla stagione dei grandi summit di mafia culminata nell’incontro organizzato il 7 febbraio 2011 a Villa Pensabene. Allora sarebbe stato Giulio Caporrimo, reggente di San Lorenzo, a convocare il direttorio provinciale. Dopo il suo arresto, l’uomo forte sarebbe diventato Alessandro D’Ambrogio, boss di Porta Nuova. I palermitani avvano capito che bisognava dialogare con i boss della provincia per serrare i ranghi dell’organizzazione. Decisive sono state le testimonianze dei collaboratori di giustizia Sergio Flamia ed Enzo Gennaro.

Nuova mafia, vecchi boss. Perché tra i condannati ci sono nomi storici della Cosa nostra bagherese che offrì protezione a Bernardo Provenzano. Nicolò Greco forte anche della parentela con il fratello Leonardo, che della mafia bagherese era stato il capo, avrebbe preso in mano il potere. Dell’elenco dei condannati fanno parte anche Michele Modica, di Casteldaccia, considerato affiliato alla mafia canadese, che nel 2004 scampò alla morte in un agguato a Montreal, ed Emanuele Cecala, originario di Caccamo, già coinvolto nell’inchiesta sul tentato omicidio dell’anziano boss Pietro Lo Iacono. Il primo è stato condannato all’ergastolo e il secondo a trent’anni per l’omicidio di Antonio Canu freddato il 28 gennaio 2005 a Caccamo. Chiedeva il pizzo senza senza che nessuno lo avesse autorizzato.

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Tra le storie del racket c’è quella sfociata nel drammatico suicidio di un imprenditore. Un costruttore aveva denunciato i suoi estorsori. Poi, sommerso dai debiti, si tolse la vita.

Ecco l’elenco dei condannati e le rispettive pene: Salvatore Buglisi (3 anni e sei mesi), Emanuele Cecala 830 anni), Giuseppe Di Fiore (10 anni e 8 mesi), Giovanni Di Salvo (7 anni e 2 mesi), Giovanni Pietro Flamia, detto “U’ Cardiddu” (10 anni e sei mesi), Nicolò Greco (non doversi procedere per morte dell’imputato), Carlo Guttadauro (5 anni e 4 mesi), Giovanni La Rosa (6 anni), Atanasio Ugo Lonforte (10 anni e sei mesi),Nicolò Lipari (10 anni e 6 mesi), Pietro Lo Coco (10 anni e 6 mesi), Andrea Lombardo (10 anni e 6 mesi), Vincenzo Maccarrone (4 anni e 8 mesi), Fabio Messicati Vitale (3 anni e 6 mesi), Bartolomeo Militello (3 anni e 6 mesi), Michele Modica (ergastolo), Carmelo Nasta (3 anni), Francesco Pipia (è l’unico assolto, difeso dall’avvocato Salvo Priola), Francesco Pretesti (6 anni e 10 mesi), Giorgio Provenzano (10 ani e 6 mesi), Francesco Raspanti (6 anni), Paolo Salvatore Ribaudo (10 anni), Giovan Battista Rizzo (8 anni), Giovanni Salvatore Romano (6 anni e 4 mesi – difeso dagli avvocati Giovanni Castronovo e Jimmy D’Azzò – per mafia, ma sono cadute tre ipotesi di estorsioni), Francesco Speciale (8 anni e 9 mesi), Francesco Terranova (6 anni e 8 mesi).

La dichiarazione del procuratore Lo Voi

“Quella emessa dal gup è una sentenza importante che conferma che le operazioni di polizia e gli arresti sono certamente decisivi, ma ancor più fondamentali sono, poi, gli esiti processuali, perché, se non seguono le condanne, le attività investigative hanno un senso relativo”. Lo ha detto il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi commentando la condanna di 24 esponenti mafiosi del clan mafioso di Bagheria. “Le 24 condanne a pene severe, emesse dal gup, – ha aggiunto – confermano la bontà delle indagini e dell’ipotesi accusatoria e la capacità di reazione dello Stato contro Cosa nostra”. (ANSA).

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20 Novembre 2015, 06:39

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