“La mafia vortice che risucchia” | I segreti del boss e la ribellione

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09 Febbraio 2018, 19:27

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PALERMO – “Cosa nostra è come un vortice che prima ti fa bello e poi ti risucchia tutto fino a non poterne uscire”. È con queste parole che Giuseppe Quaranta, boss di Favara, spiega la sua scelta di collaborare con la giustizia. Una scelta recentissima, avvenuta a fine gennaio e ad una sola settimana dall’arresto.

Si apre una crepa nella mafia agrigentina che il blitz dei carabinieri ha consegnato alle cronache come una Cosa nostra arcaica. A cominciare dalla punciuta con l’immagine sacra che brucia sulla mano del nuovo uomo d’onore durante il rito di affiliazione. Quaranta ha fatto una scelta di vita che farà molto male al clan già fiaccato dagli arresti chiesti e ottenuti dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Il mandamento di Santa Elisabetta, che ingloba una grossa fetta della terra agrigentina, era soprannominato “la montagna” fieri com’erano, da quelle parti, di rimanere arroccati in una mafia vecchio stampo.

Quaranta era il braccio destro di Francesco Fragapane. Uno, dunque, che si è sporcato le mani e conosce nomi e fatti. Una parte ha già iniziato a raccontarli. I suoi primi verbali sono pieni di omissis per coprire i nomi di boss ancora in libertà. Compresi quelli delle province di Palermo, Catania e Trapani con cui era aperto il dialogo per gli affari. Per lo più affari di droga con un canale, anche su questo Quaranta è bene informato, pure con la ‘ndrangheta calabrese.

E poi c’è tutto il capitolo della guerra partita da Favara e giunta in Belgio. Una lunga scia di morti che preoccupa anche alla luce del ritrovamento di armi da guerra nelle campagne agrigentine.

Il 24 maggio 2017 Carmelo Nicotra, 35 anni, viene raggiunto da una pioggia di fuoco. I killer imbracciano i Kalashnikov. Nicotra scampa miracolosamente alla morte. Fa il panettiere, ma va spesso in Belgio. Secondo gli investigatori, Nicotra sarebbe legato al clan Di Stefano, noto con il soprannome “Furia”.

Il 5 maggio, a Liegi, viene freddato il titolare della pizzeria “Il grande fratello”. Si chiamava Rino Sorce, aveva 51 anni ed era di Favara. Lo hanno assassinato davanti al locale poco dopo le 22.

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II 26 ottobre 2016 Carmelo Ciffa, 42 anni, viene ucciso a colpi di pistola in corso Vittorio Veneto, a Favara. Originario di Porto Empedocle, ufficialmente si arrangiava facendo lavori saltuari. La mattina dell’agguato stava rimuovendo una palma secca. Nella sua fedina penale c’erano alcuni precedenti per droga ed era considerato vicino al clan Grassonelli.

Il 14 settembre 2016 un commando entra in azione ancora una volta a Liegi. Quattro colpi di pistola nel cuore della notte in un condominio del quartiere Outremeuse. La polizia belga trova il cadavere di Mario Jachelic, 28 anni, pure lui di Porto Empedocle. Assieme alla vittima c’era Maurizio Di Stefano, 41 anni, di Favara. Se la caverà.

Il 16 febbraio 2015, a Naro, i killer uccidono Salvatore Terranova, commerciante di 58 anni, in piazza Francesco Crispi dopo che la vittima ha chiuso il suo negozio di casalinghi ed è salito in macchina per tornare a casa.

Il 27 gennaio 2015 diversi colpi di pistola raggiungono Carmelo Bellavia, 50 anni, già condannato per favoreggiamento. I sicari lo uccidono nel magazzino di via Fausto Coppi dove conserva le bibite. Era il padre di Calogero Bellavia, vivandiere di Gerlandino Messina, il capo della mafia agrigentina arrestato a Favara nel 2010.

Una lunga scia di sangue che non ha eguali. Una guerra di mafia combattuta con il piombo. Gli arresti delle scorse settimane hanno messo in crisi le cosche e provocato un primo effetto molto incoraggiante. Una decina di commercianti e imprenditori dopo il blitz ha ammesso di avere pagato il pizzo. I loro nomi facevano parte della lista già in mano ai magistrati che si è ora arricchita con le dichiarazioni di Quaranta. Le convocazioni in caserma saranno numerose nei prossimi giorni.

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09 Febbraio 2018, 19:27

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