09 Maggio 2014, 11:23
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PALERMO – Si è presentato spontaneamente nel carcere di Spoleto, in Umbria. Non aveva altra scelta dopo che la Cassazione ha reso definita la condanna per mafia nei suoi confronti. Nino Mandalà, boss di Villabate (ormai il condizionale non è più d’obbligo), ha preferito, però, presentarsi senza le manette ai polsi nel penitenziario, lontano dalla Sicilia, in cui di fatto ha “scelto” di finire di scontare la condanna a sette anni e otto mesi. In cella c’è già rimasto per poco più di sei anni.
La Suprema corte gli ha ridotto la pena che in appello era stata di 8 anni. In Cassazione è caduta l’accusa di turbativa d’asta. La sua nuova parentesi carceraria, però, potrebbe durare davvero poco. Anzi, pochissimo. Tutto dipende dalla concessione o meno della libertà anticipata su cui presto sarà chiamato a pronunciarsi il Tribunale di Sorveglianza. Ai detenuti che si distinguono per la buona condotta spettano novanta giorni di sconto per ogni anno trascorso in cella. Mandalà, dunque, potrebbe avere già saldato il conto con la giustizia. Per i reati di mafia, però, la libertà anticipata non è una faccenda scontata. Servono ulteriori indagini.
Poco prima di consegnarsi Mandalà non si è smentito. È rimasto legato al target di mafioso atipico scrivendo nelle pagine del suo blog attraverso le quali, negli anni, non ha solo difeso la sua causa proclamandosi innocente, ma ha sposato altre battaglie. Su tutte, quella contro il regime carcerario del 41 bis.
”Faccio appena in tempo a pubblicare il mio ultimo post prima di tornare in carcere – ha scritto Mandalà – Torno in carcere da innocente perché, nonostante la sentenza di condanna definitiva, continuo a proclamarmi innocente, e perché vado a scontare una pena non dovuta’. Non mi abbandono all’ipocrisia di ostentare compostezza nei confronti di una sentenza che mi ha inflitto una condanna ingiusta e di uno Stato che, senza attendere di sapere se ero innocente o colpevole, ha preso in ostaggio la mia vita per sedici anni”.
Parole dure che fanno a pugni con la verità giudiziaria. Che da ieri, senza se e senza ma, lo piazza al vertice della cosca di Villabate. Lo indica come braccio destro del padrino Bernardo Provenzano. Avvocato, mafioso e, in una fase della sua vita, anche politico, con un ruolo nella Forza Italia di fine anni Novanta, Nino Mandalà in carcere ci resterà poco. A differenza del figlio Nicola su cui pende una condanna all’ergastolo.
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09 Maggio 2014, 11:23