02 Luglio 2015, 16:53
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PALERMO – I boss si riunirono e decretarono che Enzo Fragalà doveva essere punito. Siamo davvero alla possibile svolta nell’inchiesta sull’assassinio del penalista palermitano. Le dichiarazioni del neo pentito Francesco Chiarello aprono più di una pista investigativa. Offrono agli inquirenti “certezze” che devono, però, essere riscontrate.
Chiarello è un mafioso del Borgo Vecchio, mandamento di Porta Nuova. Ed è a Porta Nuova che il piano venne programmato, studiato e ordinato. Forse doveva essere una spedizione punitiva. Fragalà doveva essere picchiato ed invece il suo aggressore infierì a colpi di bastone sul corpo del povero penalista, appena sceso dal suo studio di via Nicolò Turrisi. Fragalà morì all’ospedale Civico dopo alcuni giorni di coma.
Porta Nuova e la riunione: sono gli unici due elementi che si conoscono in un’indagine che vede investigatori e magistrati chiusi a riccio. Chiarello non racconterebbe vicende apprese da qualcun altro. Lui era presente alla riunione decisiva convocata chissà dove, ma di certo in un luogo a disposizione dei boss del mandamento che domina nella zona centrale della città. Perché e con quale ruolo Chiarello vi avrebbe partecipato, al momento, non è dato sapere. Come non è dato sapere il movente del delitto.
La collaboratrice Monica Vitale disse di avere ascoltato Tommaso Di Giovanni, reggente del mandamento, mentre forniva, parlando con Gaspare Parisi (amante della donna ndr) una chiave di lettura dell’omicidio. Fragalà non si era comportato bene con la moglie di un cliente, e il cugino dell’indagato avrebbe chiesto ai mafiosi di dare una lezione al penalista per il suo atteggiamento irrispettoso. Il gip che mandò in carcere Francesco Arcuri, Salvatore Ingrassia e Antonio Siragusa (poi del tutto scagionati) definì “sostenibile” la sua tesi nonostante i dubbi degli stessi investigatori. Il cliente del penalista aveva dato fastidio con i suoi furti senza autorizzazione tanto che gli avevano bruciato la macchina. La mafia avrebbe mai potuto fare un favore, uccidendo il povero Fragalà, ad una persona che si era meritata una punizione? Ecco perché si è sempre lavorato su un altro movente: Fragalà andava punito perché avrebbe fatto rendere dichiarazioni spontanee ad alcuni suoi clienti. Un atteggiamento di collaborazione che, nella folle logica di Cosa nostra, avrebbe meritato una punizione.
Non è l’unico omicidio di cui sta parlando Chiarello. Perché il picciotto del Borgo Vecchio, collegato in aula in videconferenza da una località segreta, ha detto di volersi togliere dalla coscienza il peso della tragica fine di Davide Romano. “Eravamo amici”, dice il neo pentito parlando del giovane torturato, ucciso e chiuso nel bagagliaio di una macchina, nudo e legato mani e piedi. E qui la storia si fa tanto macabra quanto sorprendente. Chiarello ha condotto i carabinieri a condurre i carabinieri in un magazzino alle spalle del nuovo Palazzo di Giustizia. L’ipotesi inquietante è che potrebbe trattarsi della camera dove Romano sia stato torturato prima di essere ammazzato. Il tutto a pochi metri dagli uffici giudiziari. “Erano amici” la vittima e Chiarello che avrebbe subito il volere dei suoi superiori. Era contrario al delitto, ma non avrebbe potuto opporsi. Gli ordini superiori andavano eseguiti.
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02 Luglio 2015, 16:53