19 Dicembre 2015, 06:00
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PALERMO – “La persona che è all’ombra di tutto, la persona segreta che tieni tutti fili di tutte cose”, dicono di lui i nuovi pentiti. Sarebbe Gaetano Tinnirello l’uomo più influente della mafia palermitana.
Settantanni, boss di corso dei Mille e grande vecchio di Cosa nostra. Per anni lo abbiamo visto spuntare, qua e là, nelle informative dei carabinieri. Un pranzo di battesimo o una cena di compleanno: Tinnirello era l’anziano commensale che tutti volevano al tavolo quando c’era da festeggiare qualcosa di importante. C’era pure lui accanto a Antonino Messicati, mentre il giovane boss di Villabate, che entra ed esce dal carcere per cavilli e scadenze di termini di custodia cautelare, faceva intonare le note della colonna sonora de Il Padrino al musicista di un ristorante. Erano a Bali, in Indonesia, dove Messicati Vitale trascorreva al caldo la sua latitanza e dove Tinnirello viveva per diversi mesi all’anno.
Era rimasto nelle retrovie. Fino a due giorni fa quando i carabinieri del Comando provinciale lo hanno arrestato. È uno dei 38 fermati del blitz contro i clan di Porta Nuova e Bagheria che nulla avrebbero a che fare, apparentemente, con la zona di corso dei Mille. Tinnirello forse rappresenta davvero il lato oscuro della mafia. Nella sua fedina penale c’è una condanna definitiva per associazione mafiosa al primo maxi processo alle cosche. Poi, alcune assoluzioni – una dal reato di omicidio – e una prescrizione: era accusato di avere riciclato i soldi del riscatto pagato per il rapimento del gioielliere Fiorentino, ma il reato fu riqualificato in ricettazione e uscì indenne dal processo.
Non si resta mafiosi per sempre e in virtù di una vecchia condanna. Per riportare un uomo in galera bisogna “attualizzare” il suo ruolo criminale. Ed è questo che hanno fatto i carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Palermo che lo hanno arrestato mercoledì scorso. Sono stati due pentiti di Bagheria e Villabate a spostare nel presente il suo ruolo criminale. Hanno raccontato che “a Palermo si era ricostituito tutto” e Tinnirello aveva le chiavi di tutto. Era il 2011 e non erano ancora finiti in carcere i boss della nuova mafia palermitana. Quelli che si erano fatti le ossa all’ombra dei grandi padrini, che avevano passato già una bella fetta di anni in carcere senza fiatare e, una volta liberi, si erano meritati di comandare nei più importanti mandamenti della città, Brancaccio, Porta Nuova e San Lorenzo. Fu una stagione di grandi summit. “Tonino Messicati Vitale, Nicola Milano, Tommaso Di Giovanni, u niputi di Lo Presti, Giulio Caporrimo, Alessandro D’Ambrogio, Nino Sacco.. – così ha raccontato Sergio Flamia riferendo le confidenze ricebute da Antonino Zarcone – dici si succedi cosa, dici, la persona dice che è all’ombra di tutto, la persona segreta chi teni tutti fili di tutti i cosi dici è un cristianu ca a tia ti canusci. E cu è? Dici u zu Taninu.. Ci dissi ma stu zu Taninu cu è? Dici u zu Taninu Tinnirello”. Tinnirello stava nelle retrovie, ma interveniva per le vicende più delicate… “. Perché a detta di Zarcone, “a chiavi di tutte i porte ‘mpaliermo è u zu Tanino Tinnirello”: la chiave per entrare in casa di tutte le famiglie mafiose palermitane. Un ruolo sovraordinato che si concretizzò quando Tinnirello evitò una sanguinosa guerra di mafia. I boss di Brancaccio volevano annettere la cosca di Villabate e i capimafia di Bagheria erano pronti alla guerra.
Arrivò, però, il giorno in cui anche Tinnirello dovette scendere in campo per un lavoro sporco. Un costruttore stava realizzando un complesso di villette ad Altavilla Milicia. Era originario di Palermo, ma fu obbligato a pagare trenta mila euro alla famiglia del territorio dove ricadeva il cantiere.
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19 Dicembre 2015, 06:00