Gianni Nicchi e i nuovi boss| Il pentito: “Sono solo chiacchieroni”

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26 Maggio 2016, 06:15

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PALERMO – “Pensavo che gli uomini d’onore avessero ancora dell’onore”, dice Marco Coga. Faceva il pasticciere a Palermo, oggi è un collaboratore di giustizia. Si sente una vittima. Accusato ingiustamente per delle estorsioni che dice di non avere commesso. Dà del bugiardo ad un altro collaboratore, Fabio Manno, che lo ha accusato. Disprezza i mafiosi che ha frequentato solo perché “insomma, nel gergo si dice che mi filavo certa gente per il quieto vivere, per fare il commerciante perché è un po’ strana la città”. Ora però si dice stanco di subire: “… io mi sono esaurito come un pazzo, piglio gocce dalla mattina alla sera” e tira fuori un flacone dalla tasca.

Pm e giudici lo ascoltano in trasferta a Firenze al processo che vede imputati, tra gli altri, Francesco Paolo Maniscalco, condannato per mafia con sentenza definitiva e considerato vicino a Totò Riina. Attraverso la società Caffè Florio avrebbe imposto le forniture della miscela per l’espresso venduto in diversi bar della città. Di recente a Maniscalco sono stati sequestrati beni per quindici milioni di euro. Una versione, quella dell’accusa che in un vecchio verbale, era stata confermata da Coga. Ora, però, il pentito, collegato in video conferenza da una località protetta, offre una lettura meno chiara di quei fatti. Si giustifica dicendo che sono passati tanti anni.

Ciò che gli sta a cuore è innanzitutto prendere le distanze dal mondo di Cosa nostra del quale non avrebbe fatto parte: “… questa gente, io fingevo di essere amico… avevo pure un telefonino con i messaggi che io mi lamentavo e sfogavo con mia moglie, che manco l’hanno mai voluto controllare quando io sono stato a collaborare. C’erano i messaggi di prima contro questo Manno perché io ero impazzito, questo Manno mi chiedeva sempre soldi lui, Paccarè (soprannome di Gerlando Alberti, ndr), perché era morto Nicola, morendo Nicola ammazzato, che era il mio punto di riferimento, che ero tranquillo, non mi disturbava nessuno, non mi veniva a chiedere favori nessuno, appena hanno ammazzato a Nicola tutti questi, Manno con suo zio, è stata una sanguisuga”.

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Nicola è Nicola Ingarao, il reggente del mandamento di Porta Nuova crivellato di colpi. “… con Ingarao, Nicchi, Fabio Manno, tutti questi qua, per me già diventa una pena pesante e poi le dico la verità: io in carcere con ‘sta gente mi dà fastidio a starci, non ci sono vivere – spiega il collaboratore – se mi mette nello scantinato ci so vivere, ma con questi qua no, non erano di mio gusto, non ci so vivere, ci sto male… dopo cinque, sei mesi mi viene ‘sta montagna addosso di estorsioni che non c’entro completamente niente e mi riarrestano di pomeriggio. Da quel momento in poi ho detto: io voglio chiarire le mie situazioni”.

Quando gli parlano di Nicchi e dei nuovi boss Coga attacca: “… questi non sono mafiosi come una volta, sono chiacchieroni, sono ragazzetti, non sono gente che… io ne avevo clienti che avevano ottanta anni e cose, ma neppure mi salutavano a me, questi sono mafiosi, per conto mio non sono… parlano, è facile parlare, sono come nei film, anzi, lo devono dimostrare cosa sono, quindi è questa la motivazione, magari io perché avevo avuto quel precedente per 416 bis forse ci pareva che ero io quasi uno come loro, questo è, ma io, dottore… sono chiacchieroni, chiacchiere…”.

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26 Maggio 2016, 06:15

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