Imprenditore chiese aiuto al boss| Brancaccio, le spedizioni punitive

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16 Novembre 2014, 06:25

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PALERMO – Erano armati e pronti a tutto. Anche a premere il grilletto se fosse stato necessario. L’operazione antimafia che ha colpito il clan di Brancaccio ci consegna storie di ordinaria violenza. Nel 2012 e 2013 erano partite due spedizioni punitive, armi in pugno. Solo l’intervento degli uomini della Squadra mobile evitò che venissero portate a termine.

Il primo obiettivo era un pregiudicato che aveva osato picchiare Giuseppe Bruno, il fratello di Natale, presunto capomafia di Brancaccio arrestato per le strade di Milano, nei pressi di piazzale Corvetto, dove è stato bloccato con dei documenti falsi in tasca. Era una questione di donne. Il 2 dicembre dell’anno scorso la vittima designata riuscì a farla franca, ma la caccia sarebbe ripresa all’indomani. A stopparla furono i poliziotti. Scattò la perquisizione nel magazzino di Natale Bruno, in via Gaetano Di Pasquale, dove furono trovati un silenziatore per pistola calibro 22, numerose munizioni di 38 special e 357 Magnum, un paio di manette e 8 mila euro in contanti. Bruno allora finì in carcere, ma sarebbe uscito presto, secondo l’accusa, con i gradi di capo. I suoi colloqui in carcere furono registrati e saltò fuori che c’era stata una riappacificazione. Il pregiudicato non correva più alcun rischio.

La punizione era pronta pure per il rapinatore che, nell’ottobre 2012, aveva preso di mira un imprenditore. Si trattava del titolare di un ingrosso di frutti di mare. Il padre di quest’ultimo si era rivolto al clan di Brancaccio per recuperare il denaro che era stato rubato al figlio nel corso di una rapina violenta: “Io ho visto che c’erano picciotto e mi sono sdirrubbato dalle scale e il tempo che sono arrivato a pianterreno il picciriddo che gridava. Sono andato a trovare il picciriddo che piangeva… a terra, hai capito?… e gli hanno scippato i soldi…”.

Iniziò la caccia agli autori del colpo. Il padre dell’imprenditore era convinto di avere saputo nome e indirizzo di uno dei malviventi: “L’hai capito? È questo, è Bagheria. Questo si ritira stasera alle otto meno venti… lo mettiamo nella macchina…”. “Vai a prendere la macchina che siamo con te”, diceva Bruno. In realtà le “indagini” produssero esiti diversi. Così lo raccontava Bruno: “Sto venendo da Bagheria ora. Non è che… in questo momento sono arrivato… non abbiamo niente da fare, capito? Ma fuori mano fuori mano fuori mano. Quelli… quei quattro che fanno questi lavori non c’entrano niente con la discussione che ha avuto lui”.

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La polizia capì che la situazione stava per precipitare e convocò il commerciante e il padre in commissariato. Solo che il padre andò subito a riferire a Bruno che “… c’è stato qualcuno di là in mezzo che sapeva del discorso, capito? Gli hanno fatto fare qualche confronto e io non ne sapevo niente… dice che lo hanno infilato in una stanza e lo hanno lasciato la solo”. Il 23 ottobre il commerciante si presentò alla polizia per denunciare la rapina. Erano trascorse due settimane dal colpo. Meglio tardi che mai.

 

 

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16 Novembre 2014, 06:25

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