27 Giugno 2015, 06:15
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RACKET – Il boss non riusciva a capire chi e per conto di chi fossero state fatto le intimidazioni. Piuttosto che inquadrale come il gesto di un “cane sciolto” era meglio farle passare con una strategia degli sbirri.
I carabinieri del Nucleo investigativo hanno tenuto per mesi sotto controllo la macchina a bordo della quale si muovevano Vincenzo Giudice, uno dei presunti triumviri alla guida del mandamento di Pagliarelli, e il suo braccio destro Andrea Calandra. Entrambi sono finiti in carcere a fine maggio nel blitz denominato Verbero. I due discutevano dell’intimidazione subita da un negoziante dei detersivi a cui avevano fatto ritrovare le serrature bloccate con l’attak. Nella scena, ripresa delle telecamere di sicurezza, si vedevano due uomini, che nessuno, però, riconosceva. La loro identità resta un mistero.
“Sono sbirri”, diceva Giudice: “Non hanno niente, l’hai capito che è”. L’ipotesi fantasiosa era che gli autori dell’intimidazione fossero stati gli stessi investigatori nella speranza di stanare i mafiosi a cui i commercianti sarebbero andati a bussare per cercare di mettersi a posto: “Allora, non hanno niente e fanno questo… per vedere poi chi si viene a informare”.
Parole carpite mentre i due raggiungevano Massimo Perrone, indicato come capofamiglia a Pagliarelli e al vertice del mandamento assieme a Giudice e ad Alessandro Alessi. L’incontro è avvenuto a casa di Perrone. È qui che quest’ultimo avrebbe dato le disposizione a Giudice che così le riferriva: “… dobbiamo passare di nuovo dalla via Ughetti… ora spargiamo una bella voce”. Lungo la strada incontrarono un uomo: “Fammi un favore gli dici a Giovanni… dice Vincenzo spargi la voce che ci sono due sbirri che girano e incollano le saracinesche e sono sbirri… dice Vincenzo spargi la voce ai negozi che sono sbirri, sono due sbirri che girano e incollano le saracinesche”.
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27 Giugno 2015, 06:15