12 Febbraio 2017, 06:00
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PALERMO – Sono giovani e pronti a tutto. Dal lavoro sporco agli omicidi: la scalata dei picciotti agli ordini dei boss non conosce tregua. Si iscrivono da piccoli alla palestra di Cosa nostra e attendono il loro momento. Che arriva, “grazie” agli arresti delle forze dell’ordine che impongono il ricambio generazionale. Fino a oggi hanno un vantaggio: gli investigatori non li hanno ancora identificati. Almeno non tutti. Il mensile “S” presente in edicola svela i loro segreti in uno speciale che contiene intercettazioni e verbali inediti.
L’omicidio è il gradino più alto della scalata. Di strada devono averne fatta parecchio i ragazzi che nel 2009 parteciparono al delitto dell’imprenditore Vincenzo Urso di Altavilla Milicia. Lo crivellarono di colpi appena sceso dalla macchina. Resta il mistero su chi occupasse la macchina dei killer, una Fiat Uno immortalata dalle telecamere di un negozio. Con l’accusa di essere stati i mandanti del delitto sono stati arrestati Franco Lombardo e il figlio Andrea. È stato il pentito bagherese Antonino Zarcone a raccontare dell’esistenza di un gruppo di giovanissimi che si sarebbe mosso agli ordini di Franco Lombardo. “Ragazzini incontrollabili, questi facevano pure danneggiamenti in continuazione”, li definisce il collaboratore di giustizia che offre le indicazioni per identificarli e racconta tutti i retroscena del delitto: dalla preparazioni all’esecuzione.
Giovanissimi e armati fino ai denti. La pistola è un simbolo di potere anche tra Resuttana e San Lorenzo, potenti mandamenti mafiosi di Palermo dove i ragazzini si armano. Ci sono in giro, però, delle teste calde a Brancaccio e Santa Maria del Gesù. Si credono potenti e “fanno casino” nei locali della città. Altrove, ad esempio a Bagheria, invece, sanno stare al loro posto come quel ragazzino dagli occhi di ghiaccio rimasto seduto impassibile in macchina mentre un uomo del clan prelevava una pistola nascosta sotto il sedile.
Se si è affidabili prima o poi qualcuno si fa vivo. Le rapine in trasferta per finanziere le casse del clan sono uno dei passaggi per testare le capacità delle nuove leve. Ne sono state ricostruite alcune messe a segno in Friuli su decisione dei capimafia di Porta Nuova. Non si tratta di assalti a piccole botteghe, ma colpi per razziare migliaia di euro nelle banche. La vera palestra, però, è tornata ad essere lo spaccio di droga. Il pentito Salvatore Sollima racconta che a Ficarazzi “c’era qualcuno… ragazzi che prendevano mezzo chilo, un chilo la settimana..”. Un chilo a settimana di cocaina significa soldi e potere.
E poi arriva l’invito a fare parte della schiera degli uomini del pizzo. Di quelli che sanno come intimidire i commercianti. Non tutti i vecchi, però, accolgono con favore il nuovo che avanza. E così nascono conflitti generazionali come quelli registrati dalle microspie a Santa Maria di Gesù. “Gli infila il dito in c… e li fa firriare”, diceva Vincenzo Adelfio di Villagrazia per criticare le nuove leve. Un ragionamento che vale solo quando non si ha un cognome che conta in città. Se sei un figlio di Cosa nostra non solo per meriti sul campo, ma pure per il sangue che scorre nelle vene allora succede che qualcuno riesca ad evitare la raffica di piombo che, invece, lascia sull’asfalto i figli di nessuno.
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12 Febbraio 2017, 06:00