11 Luglio 2012, 08:00
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Nel 2007 negò di avere pagato il pizzo. Imputato per favoreggiamento patteggiò una condanna a quattro mesi, pena convertita in una multa da cinque mila euro. Pochi spiccioli a giudicare dalla enorme disponibilità economica di Giuseppe Sammaritano. Sul patrimonio dell’imprenditore palermitano – il re della distribuzione in larga scala di casalinghi, detersivi e profumi – si abbatte la scure della sezione misure di Prevenzione del Tribunale che ha disposto il sequestro di beni per 210 milioni di euro. Secondo i giudici, Sammaritano è il classico esempio di imprenditore vicino alla mafia. Che grazie alla contiguità con i boss ha costruito un impero economico. C’è la conferma che Cosa nostra e grande distribuzione si muovono spesso a braccetto.
All’indomani del patteggiamento è iniziato il lavoro certosino del Gico, il Gruppo investigazione sulla criminalità organizzata del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Palermo. Gli uomini guidati dal tenente colonnello Massimiliano Tibollo hanno ricostruito la rete di interessi di Sammaritano, 59 anni, che si è avvalso della collaborazione della moglie, Maria Grazia Moschera, e dei figli Gaetana, Anna Lorena, Angelo e Claudia.
I collaboratori di giustiziahanno detto di conoscere bene la sua storia. A cominciare da una vecchia faccenda di riciclaggio. Sammaritano avrebbe messo a disposizione le sue aziende per investire, e dunque ripulire, 300 milioni di lire. Poi, si sono aggiunte le dichiarazioni di Francesco Briguglio, ex fedelissimo del clan di San Lorenzo che ha deciso di saltare il fosso. Ha raccontato dei rapporti fra l’imprenditore e i mafiosi del mandamento di Pagliarelli ai quali avrebbe consentito di cambiare grosse somme di lire in euro. Ecco spiegato, dicono gli investigatori, il silenzio di Sammaritano che cinque anni fa preferì negare di avere subito le imposizioni del racket. Erano i giorni dell’inchiesta Gotha che azzerò il mandamento retto da Nino Rotolo. Da estorto Sammaritano sarebbe diventato socio in affari della mafia. O meglio, avrebbe pagato a Cosa nostra il prezzo della sua scalata imprenditoriale. Immancabili anche i pizzini. I legami con la cosca di Carini sono emersi dalla documentazione sequestrata a Salvatore Lo Piccolo durante l’arresto nel covo di Giardinello.
Il resto lo ha fatto una perizia contabile che ha tracciato la scalata di Sammaritano. Da modesto titolare di una piccola azienda che nei primi anni 90 aveva bilanci negativi è diventato un pezzo grosso della grande distribuzione, capace di immettere nelle sue società, tra il 1995 ed il 2000, sette miliardi di lire. Troppi, rispetto ai redditi dichiarati.
Lungo l’elenco dei beni finiti sotto sequestro: la società Fratelli Sammaritano srl, con sede nella zona industriale di Carini, che commercializza prodotti di bellezza (valore 150 mila euro), le palermitane Sicilprodet srl (quartiere Borgo Nuovo), Angelo Sammaritano srl (quartiere Noce) e Max Gross (sempre a Borgo Nuovo) che vendono, all’ingrosso e al dettaglio, articoli di profumeria, casalinghi e detersivi (valgono rispettivamente 5, 20 e 2,5 milioni di euro). Ed ancora il 50 per cento della Gs Distribuzione srl (sempre nel settore dei detersivi, valore 5,2 milioni), una sfilza di terreni a Partinico, appartamenti nelle vie Tommaso Aversa, Niccolò Candela, Gennaro Pardo e Belgio a Palermo; una villa a Trappeto, tre case in via Cala Mancina e via Marina a San Vito Lo Capo. Una Mercedes, un’Audi e disponibilità finanziarie per sette milioni di euro.
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11 Luglio 2012, 08:00