I fondi riservati di Messina Denaro che rientravano "a poco a poco"

Messina Denaro, fondi riservati che rientrano “a poco a poco”

Dal terreno conteso a "parmigiano": caccia al tesoro del padrino

PALERMO – Da una parte quel “non sono stupido” con cui il latitante ha risposto a chi gli chiedeva se avesse dei beni da dichiarare; dall’altra la parola “prassi” che rimanda meccanismo per nascondere il patrimonio e rientrarne in possesso al momento opportuno.

“Sennò come potevo vivere”

Ecco servito l’incipit del capitolo investigativo sul patrimonio di Matteo Messina Denaro. L’elenco dei beni che gli è stato confiscato negli anni è sterminato. Al capomafia è stato ricondotto ogni genere di impresa, probabilmente oltremisura. “Mi avete tolto tutto”, ha detto prima di ammettere di avere altre proprietà di cui nulla intende dire: “Certo che ne ho, sennò come potevo vivere fino ad ora”.

“I soldi a poco a poco”

La storia del terreno conteso agli eredi del boss Alfonso Passanante, che se l’era intestato per conto di Messina Denaro, svela il sistema. “La prassi però voleva, e la signora Passanante lo sa, che il momento in cui io avrei deciso avevo bisogno io, lo facevo sapere – ha messo a verbale – lei lo vendeva e mi mandava i soldi, prima se li metteva in banca e poi a poco a poco li prendeva ovviamente io le avrei fatto un regalo per tutto invece lei si vuole rubare… quindi lei doveva vendere e dare i soldi a me… ma lei non ha sistemato niente”.

La prassi

Di certo Messina Denaro aveva un tenore di vita elevatissimo e conservava una provvista di denaro in contanti per le esigenze più impellenti. Ad alimentare la cassa era proprio “la prassi” entro la quale può rientrare un altro episodio. “I soldi che avevo non mi bastavano e quindi ho avuto bisogno di questi 40 (mila, ndr) dai W. Quindi ne W. ne sono rimasti 85 mila, e questo è un problema, sono pochi, devo avere un deposito W più grosso, se no vado a sbattere, cioè non sono coperto per come voglio io”, scriveva Matteo Messina Denaro alla sorella Rosalia.

Gli investigatori sono convinti che esisterebbe una cassaforte dalla quale il clan attingeva e attinge per le spese ordinarie e straordinarie. Un “fondo” dove dovevano confluire i 40 mila euro che bisognava chiedere a “parmigiano”, uno dei nomi in codice citato nei pizzini. Sarebbe un facoltoso imprenditore che non doveva, e probabilmente non poteva, rifiutare la richiesta.

Il mistero “parmigiano”

L’incarico di recuperare i soldi da “parmigiano” doveva essere affidato a “fragolina” (altro nome in codice): “Deve fare dosi da 5 mila euro e ogni volta li dà a fragolina, in estate gli verrà facile vedere a fragolina, e durante l’estate conclude il tutto. Fragolina ogni volta che avrà la dose di 5 mila la darà a te ma in dosi ancora più piccole, cioè di 2500 euro. Ti ci vorrà più tempo per portare tutto da te, ma è il modo più sicuro, ogni volta viaggi con 2500 e non con grosse cifre. Spero mi sono spiegato”. L’analogia con i fatti citati nella storia del terreno è evidente. Resta da capire quante volte il modus operandi sia stato replicato.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI