30 Marzo 2015, 16:42
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PALERMO – Un’esecuzione con un colpo di pistola alla nuca, un altro agguato fallito e una rissa. Sono questi, secondo l’accusa, i punti fermi della vicenda culminata nell’omicidio di Franco Mazzè. Una vicenda torbida che offre, ora dopo ora, nuovi colpi di scena in un quartiere dove le questioni si risolvono a pistolettate. Mazzè non doveva essere l’unico a morire. Poco distante da via Gino Zappa, dove la vittima è stata crivellata di colpi, una manciata di minuti dopo un’altra persona ha rischiato di essere ammazzato.
Procediamo con ordine. È domenica mattina allo Zen. In un bar del periferico quartiere della città scoppia una rissa. Un buffetto – anche se non si capisce cosa ci sia realmente dietro – scatena l’inferno ripreso dalle telecamere di video sorveglianza dell’attività commerciale. Davanti ad una cinquantina di persone che nulla dicono di avere visto Fabio Chianchiano arriva alle mani con uno dei tanti fratelli della vittima. Alla fine ha la peggio. Viene, infatti, raggiunto da un violento schiaffo al volto.
Tre ore dopo, intorno alle 12 e 30, Franco Mazzè si trova nei pressi del panificio sotto casa, in via Gino Zappa. Non ci sono dubbi: i killer, forse due, fanno fuoco per ucciderlo visto che l’uomo viene colpito alla testa. Il proiettile sparato alla nuca fuoriesce dalla fronte della vittima. A terra restano in tutto nove bossoli, esplosi da due pistole diverse. Si tratta di munizioni parabellum di quelle in dotazione alle forze dell’ordine. La mente degli investigatori fa subito un collegamento con uno strano episodio avvenuto cinque giorni fa. Una guardia giurata della società Ksm era stato aggredito in via Bergamotto, nella zona di Tommaso Natale, da due persone che gli hanno portato via la pistola Beretta calibro 9 e le munizioni durante il giro di controllo in un cantiere per il raddoppio ferroviario.
Mentre il corpo di Mazzè è ancora a terra transita da via Gino Zappa un’ambulanza che è stata chiamata dai familiari di un anziano che si è sentito male. Le persone presenti sul posto bloccano l’autista e lo obbligano a caricare il corpo di Mazzè che morirà dopo il suo arrivo in ospedale. Dicono che è rimasto vittima di un incidente stradale. Inizia la corsa, tanto disperata quanto vana, in direzione Villa Sofia.
Nel frattempo in una via non lontana un’altra telecamera filma una scena da Far West. Si vede una macchina di colore blu arrivare nei pressi di una casa a piano terra. La persona che siede sul lato passeggero scende e inizia a fare fuoco ad altezza d’uomo. Ha il volto coperto dal cappuccio di una felpa. Un proiettile buca la parete esterna dell’abitazione e finisce dentro la camera da letto. Dalla casa esce una donna. E’ la moglie di Michele Moceo, nipote di Mazzè che con lo zio ha condiviso il processo in cui entrambi sono stati assolti nel luglio scorso.
Secondo i pubblici ministeri, Calogero Ferrara e Sergio Barbiera, coordinati dal procuratore Franco Lo Voi, a fare fuoco sarebbe stato Fabio Chianchiano concordando con la ricostruzione degli investigatori che hanno fatto scattare il fermo di polizia giudiziaria. Ci sarebbero degli elementi di compatibilità fisica fra lui e la persona che è stata immortalata mentre scende dalla macchina e spara una raffica di colpi. Anche in questo caso i proiettili sono quelli in dotazione alle forze dell’ordine e agli agenti di sicurezza. Ed è per la detenzione dell’arma e il tentato omicidio che Chianchiano viene fermato. Sparando ad altezza d’uomo avrebbe potuto uccidere la donna.
Ai poliziotti della Squadra mobile e del commissariato di San Lorenzo che lo interrogano Chianchiano riferisce che lui nulla c’entra. Cade dalla nuvole. Era in chiesa a vendere le palme come tradizione religiosa vuole. Anche la donna nulla sa. Non stava fuggendo da casa impaurita dalla pioggia di fuoco che ha investito l’abitazione. Anzi, lei non ha sentito neppure gli spari. Il silenzio è assoluto. Alle scene – la rissa, l’agguato e il tentato omicidio – avrebbero assistito duecento persone. Ma nessuno ha visto o sentito qualcosa.
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30 Marzo 2015, 16:42