“Il boss? Era mio padre | Mio nipote ha commesso omicidi”

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25 Gennaio 2018, 06:00

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PALERMO – Lo ha scoperto 25 anni fa. Ha scoperto che suo padre era un boss. Gli è toccato piangere un fratello, che neppure sapeva di avere, crivellato di colpi in una guerra di mafia. Poi anche lui è diventato un boss. Oggi si è pentito e accusa il nipote di avere commesso due omicidi.

Il protagonista è Sergio Macaluso, O meglio, Sergio Lo Iacono perché il quarantenne neo collaboratore di giustizia di Resuttana non ha mai fatto mistero di essere figlio del boss di Partinico Francesco Lo Iacono, omonimo del nipote. Ne parlava con gli altri affiliati del clan e di recente lo ha ripetuto ai magistrati. Negli ambienti di Cosa Nostra era un fatto notorio. Vito Galatolo, capomafia pentito dell’Acquasanta, nei verbali continuava a ripetere “Sergio Lo Iacono”.

Ora si spiega perché Macaluso, due anni fa, in piena ascesa criminale andò a Partinico per bruciare le macchine di un’autofficina. Un lavoro da scagnozzi, di cui si occupò personalmente perché era un favore per “mio nipote, mio nipote”, diceva ai suoi compagni di viaggio mentre raggiungeva il luogo dell’attentato. Era orgoglioso delle sue origini. “Noi altri”, ripeteva per rimarcare il fatto di essere un Lo Iacono.

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Il 13 gennaio 2018 Macaluso ha deciso di cambiare vita e si è seduto davanti ai pubblici ministeri per raccontare la sua storia dall’inizio: “Ho fatto parte di Cosa nostra così come mio padre Francesco Lo Iacono, uomo d’onore della famiglia di Partinico, arrestato nel ’93 in qualità di reggente in assenza di Nenè Geraci. È stato condannato anche per alcuni omicidi. Era sposato e aveva una famiglia legittima ragione per cui a me non era consentito di andare ai colloqui”.

Quando ha scoperto la sua vera identità era troppo tardi per abbracciare il padre. Ha fatto in tempo con il fratello, conosciuto prima che lo ammazzassero: “Ho conosciuto nel ’93 mio fratello naturale Maurizio Lo Iacono, all’epoca latitante che tramite nostro fratello Nino mi fece rintracciare per parlarmi”. E gli raccontò la verità: “Mi disse di avere capito che eravamo fratelli. Mi sono avvicinato a Maurizio e ne ho curato la latitanza per un anno a casa mia a Sferracavallo dove ha conosciuto Giulio Caporrimo e Calogero Lo Piccolo”. Quando negli ambienti di Cosa nostra si seppe della sua vita passata, nacque una diffidenza nei confronti di Macaluso ampiamente superata tanto che divenne un pezzo grosso a Resuttana.

Maurizio Lo Iacono fu crivellato di colpi nel 2005 mentre saliva su una Smart parcheggiata in una strada di Partinico.  I Vitale fardazza non gli perdonarono di essersi allargato approfittando della loro assenza forzata: erano tutti detenuti. Infine Macaluso conobbe suo nipote “Francesco Lo Iacono che mi ha chiesto di effettuare il danneggiamento”. C’è di più, molto di più visto che il neo pentito accusa il trentasettenne di avere partecipato a due omicidi. Due morti su cui finora non è stata raggiunta una verità giudiziaria. “Il collaboratore addebita a Francesco Lo Iacono – scrivono i magistrati – responsabilità in ordine ad altri reati quali omicidi e traffico di stupefacenti”.

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25 Gennaio 2018, 06:00

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