07 Febbraio 2015, 06:15
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PALERMO – Nella nuova mafia si fa una deroga alle vecchie regole. Un tempo accollarsi una condanna in silenzio era un punto fermo del codice d’onore di Cosa nostra. Patteggiare una pena o concordarla era inammissibile. Le cose sono cambiate e così chi aveva pagato dazio finendo nelle retrovie, messo da parte come si dice in gergo mafioso, è potuto tornare in prima linea.
I verbali di Vito Galatolo ci consegnano la storia di Antonino Ciresi, 71 anni, considerato un pezzo grosso della mafia del rione Borgo Vecchio. In cella c’è finito di nuovo nel 2013 nel corso del blitz Alexander che prendeva il nome da Alessandro D’Ambrogio, considerato il reggente del mandamento di Porta Nuova, di cui Ciresi sarebbe stato il braccio destro. Proprio D’Ambrogio avrebbe perdonato il “peccato” dell’anziano uomo d’onore, tornato a scalare le posizioni di vertice fino ad arrivare alla guida della famiglia del Borgo Vecchio. Nel frattempo sul capo di Ciresi è pure piovuta una condanna in primo grado per avere cercato di imporre il pizzo allo chef Natale Giunta.
Galatolo prima ne traccia il profilo di uomo fidato di D’Ambrogio (“Mi sono visto con D’Ambrogio sotto casa mia in vicolo Pipitone, ho fatto un appuntamento tramite Nino Ciresi…”); poi, l’affondo sulle vecchie regole andate in soffitta: “Ciresi è un uomo d’onore della famiglia di Palermo Centro, però posato negli anni 2000 perché si era fatto un concordato in un processo… ed essendo un mafioso non si poteva permettere di fare queste situazioni… un uomo d’onore si doveva fare anche primo, secondo e terzo grado di giudizio, anche la Cassazione…”. Ciresi, a sentire il pentito, aveva scelto una strada diversa: “… invece cosa è successo, che ci sono stati uomini d’onore che hanno fatto in primo grado e si sono buttati definitivi, nemmeno si sono appellati…”.
D’Ambrogio aveva trovato il rimedio: “… allora in questa situazione Alessandro cosa fa invece, non lo presenta come uomo d’onore a livello esterno, altre famiglie, però internamente sì, fra di loro… è a disposizione, lui faceva gli appuntamenti, andavamo in casa ad una traversa dentro Ballarò, presentava appuntamenti là dentro, cioè lui era la persona che gestiva tutti gli appuntamenti di Alessandro. Ciresi Nino, detto burraccia… è rientrato nella famiglia”.
Alla fine nel caso di Ciresi avrebbe prevalso il suo curriculum criminale. Già nel 1993 era stato condannato per associazione a delinquere finalizzata al gioco e alle scommesse clandestine. Nel 1998, per mafia ed estorsione. Nel frattempo avrebbe pure accumulato un patrimonio di tutto rispetto. L’anno scorso, al termine delle indagini di carabinieri e finanzieri, su disposizione della sezione Misure di prevenzione del Tribunale, gli furono sequestrati beni per venti milioni di euro, tra cui la Ovinsicula, una srl con sede a Palermo e Mezzojuso, leader nella commercializzazione di carni.
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07 Febbraio 2015, 06:15