PALERMO – “Nel 2002 Pietro Riggio venne a casa mia con un sacchetto e mi chiese se fossi disponibile a collaborare con lui che era in contatto con persone delle istituzioni e si era messo a disposizione per la cattura di latitanti. Mi chiese se avessi potuto dargli una mano perché ne avrebbe tratto benefici dal punto di vista economico e giudiziario. Diceva che lo avrebbero riammesso a lavorare nella polizia penitenziaria”.
È quanto ha dichiarato il pentito Carmelo Barbieri, sentito martedì 13 maggio come teste nell’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta nell’ambito del processo per depistaggio a carico di due ex generali dei carabinieri, oggi in pensione, Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni.
I due ufficiali sono accusati di non aver dato il giusto peso, quando erano in forza alla Dia, alle rivelazioni del pentito Pietro Riggio su importanti indagini, tra cui la cattura di Bernardo Provenzano e il progetto di attentato al giudice Leonardo Guarnotta, che presiedeva il processo a Marcello Dell’Utri.
Il rifiuto di tradire Daniele Emanuello
Il pentito Riggio, ex poliziotto penitenziario arrestato e divenuto collaboratore di giustizia, era già stato ascoltato come teste nelle precedenti udienze. Rispondendo alle domande del pm Pasquale Pacifico sui latitanti di cui parlava Riggio, Barbieri ha fatto il nome di Daniele Emanuello, boss con il quale ha ammesso di aver avuto rapporti anche durante la sua latitanza.
Barbieri ha raccontato: “Riggio disse che nel sacchetto che aveva con sé c’erano un telefonino satellitare e biancheria intima e, qualora mi fossi messo a disposizione, conteneva un dispositivo per segnalare la mia presenza nel momento in cui mi fossi avvicinato al latitante da catturare. Restai un po’ sbigottito ma lui continuava a chiedermi di aiutarlo”.
“Temevo – continua Barbieri – che in quel modo potessimo mettere a rischio la nostra vita e inoltre gli dissi che Emanuello non lo avrei tradito mai perché in passato avevano voluto attentare alla mia vita e lui si era opposto. Quindi gli dissi che per mia coscienza non me la sentivo. Alla fine gli consigliai di prendere qualche giorno di tempo e poi dire a queste persone che non avrei potuto aiutarlo per le mie condizioni di salute, e in effetti cosi fece”.
Nel processo in corso a Caltanissetta è imputato anche l’ex poliziotto Giovanni Peluso per concorso esterno in associazione mafiosa.