22 Settembre 2018, 10:41
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PALERMO – “Non mi sento di essere un mafioso e non lo sono. Ci sono nato dentro queste famiglie, ma mi sono reso conto che sono tutte falsità”. Il neo pentito di mafia Giovanni Lucchese, spiega nei verbali le motivazioni della sua scelta e rivela nomi e ruoli dei boss del clan di Brancaccio. Nipote di Giuseppe Lucchese, detto “Lucchiseddu” è anche cognato del boss mafioso Pietro Tagliavia e figlio di Nino, condannato all’ergastolo. La moglie, Rosalinda Tagliavia, ha sin da subito preso le distanze dopo la decisione del marito, rifiutando anche la protezione dello Stato. Sia i Tagliavia che i Lucchese sono famiglie dalle storiche radici mafiose:
“Ci sono nato e c’ho sempre convissuto – ha messo a verbale Lucchese – però con una certa tensione dentro. Vedevo dei modi di fare di arroganza, di prepotenza, senza che uno si può opporre. Deve vincere la parola in più. Se fai diversamente sei cretino, sei sballato. Vince il male, è proprio un male che hanno dentro”. Tutte motivazioni che avrebbero portato “Jhonny” Lucchese a voltare le spalle alla cosca di Brancaccio, facendo nomi e cognomi, inclusi quelli dei parenti più stretti.
“Mio cognato Piero, ad esempio, si è creato il personaggio. Giustamente, è figlio di Tagliavia e crede a questa realtà. Ci sono un po’ di persone che girano per fare gli interessi della famiglia”. Interessi che si basavano sul gioco del lotto clandestino e il business degli imballaggi industriali “pallets”: “Il gioco tradizionale – ha detto Lucchese durante l’interrogatorio del pm – è un’eredità che mi ha lasciato il mio caro papà, eh, eh…però è sempre gestito da Maurizio Puleo. E’ stato sempre nostro, Lucchese, Graviano Tagliavia…poi c’era un certo Fernando Gennaro che però aveva rubato dei soldi ed era stato allontanato, quindi da quel momento le quote le dividevamo io, Maurizio, mio padre e Piero”.
In foto, il collaboratore di giustizia riconosce proprio Piero Tagliavia e riepiloga i contatti che avrebbero permesso al cognato di introdursi nell’affare del pallet. “L’ha fatto conoscendo Paolo Clemente, sono diventati amici grazie a Claudio D’Amore, che è suo cugino tramite la moglie”. “L’album” di Cosa nostra prosegue con la fotografia di Giuseppe Lo Porto, fratello dell cooperante palermitano ucciso in Afghanistan: “Lui era un soggetto con tanti contatti, che portava notizie – ha messo a verbale Lucchese – mi dava dei soldi per mio padre, credo per il giro della droga che avevano. Lui sa tutto di Piero”. Durante l’interrogatorio, il neo pentito indica altri volti di sua conoscenza.
“Totò Giordano era a disposizione per le estorsioni, i danneggiamenti e la droga”. E ancora: “Giuseppe Di Fatta si occupava della droga e di riscuotere il pizzo, era sotto Tonino Marino. Questo è Vincenzo Vella, un’altra persona che si metteva a disposizione delle famiglie, è un tipo che si dà delle arie. Giuseppe Caserta gira invece allo Sperone per traffici di droga, per i pusher, gestisce le feste rionali e cose di droga, lo conosco di vista. Maurizio Stassi lavorava nel giro del gioco come raccoglitore per il Bingo rionale. Quando fanno la bingata la fanno tra di loro, all’interno di tutti questi palazzi, insieme a Giuseppe Caserta che portava a chi portava…come mi ha raccontato Stassi, era lui che raccoglieva le somme di denaro da venditori ambulanti durante le feste rionali. E’ un pizzo, si mette là e si deve fare dare 30 euro l’uno…”.
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22 Settembre 2018, 10:41