15 Novembre 2019, 12:47
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PALERMO – Per una lunga stagione è stato il re palermitano del pesce surgelato. La confisca chiude nel peggiore dei modi la parabola imprenditoriale di Salvatore Vetrano. La sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, oggi presieduta da Raffaele Malizia, gli ha tolto beni che valgono più di venti milioni di euro. Sono stati il procuratore aggiunto Marzia Sabella e il sostituto Claudia Ferrari a chiedere la confisca al termine di un processo iniziato quando a presiedere le Misure di prevenzione c’era il giudice Silvana Saguto, ormai radiata dalla magistratura.
Meno di 50 anni e una vita segnata dai procedimenti giudiziari, quella di Vetrano. I suoi affari, analizzati dalla Dia, guidata dal colonnello Paolo Azzarone, ruotavano attorno alla Veragel di Carini. Di lui e del padre Giacomo si parlò per la prima volta nel 1999 quando furono arrestati con l’accusa di avere nascosto nelle celle frigorifere un carico di pesce rubato dagli uomini della famiglia mafiosa di corso Calatafimi.
Nel 2002 arrivarono nuovi guai: Vetrano tornò in cella perché ritenuto responsabile di avere rapinato una carico di pesce congelato. Della banda avrebbero fatto parte, ancora una volta, soggetti organici a Cosa Nostra.
Nel 2005, il suo nome saltò fuori nell’inchiesta che portò in cella i boss di Brancaccio Benedetto Graviano e Cesare Lupo. Vetrano veniva indicato come “vicino” all’organizzazione mafiosa.
L’imprenditore, per la verità, ha anche acquisito la veste ufficiale di vittima del racket. Ammise, infatti, di avere ricevuto una richiesta estorsiva di 500 mila euro. Ammissioni che contribuirono all’arresto e alle condanne di quattro persone. Tra queste c’era Gianfranco Puccio, compagno di giochi, da ragazzo, di Giuseppe Salvatore Riina, durante la latitanza del padre di quest’ultimo, Toto. Puccio chiese 500 mila euro a Vetrano, che era suo cugino, il quale doveva essere punito per avere denunciato una precedente estorsione. La richiesta fu registrata grazie a un’intercettazione ambientale e fu poi lo stesso Vetrano ad ammettere di aver subito pressioni.
Più di recente la Direzione investigativa antimafia disse che Vetrano aveva “acquisito un consistente patrimonio immobiliare ed ha costituito numerose aziende, beneficiando di finanziamenti comunitari erogati dal Fondo Europeo per la pesca in Sicilia, ma anche facendo sfuggire al fisco ingenti ricavi”. In particolare era stato lui stesso ad ammettere, durante un accertamento fiscale, di non avere dichiarato al fisco un milione e 300 mila euro, i ricavi della vendita del pesce agli ambulanti abusivi che lo rivendono in giro per la città.
I suoi trascorsi giudiziari gli erano costati un avviso orale del questore che nel 2012 lo aveva invitato a cambiare stile di vita. Un avviso andato in frantumi quando Vetrano nel 2012 finì in carcere. Aveva sparato a Giuseppe Toia, titolare della concessionaria Isolauto, ferito gravemente a Isola delle Femmine. Toia da qualche tempo frequentava una ragazza che, evidentemente, piaceva anche a Vetrano. Per questo reato Vetrano ha finito di scontare una condanna a sei anni e prima dell’inizio del processo risarcì Toia con duecento mila euro. Vetrano si piazzò sotto casa della ragazza. Quando vide Toia che la stava accompagnando al portone si avvicinò e fece fuoco. Il caso volle che sul posto transitava il titolare del ristorante Charmant, il quale chiamò i soccorsi. Trasportato all’ospedale Cervello, Toia venne sottoposto a un delicato intervento chirurgico. “È vivo per miracolo”, dissero i medici.
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