09 Febbraio 2015, 07:00
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PALERMO – Anche l’impresa che lavorava per conto della Curia fu costretta a pagare il pizzo. Il cantiere dell’antico palazzo tra via Maqueda e discesa dei Giovenchi, a Palermo, rappresentava un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Specie in tempi di crisi. “Gli metto a posto questa per 30 mila euro…15 mila euro che andassero a Palermo e 15 mila euro che dovevano rimanere a Bagheria”: così Sergio Flamia racconta la storia del pizzo imposto a due costruttori della provincia che stavano lavorando alla ristrutturazione di una palazzina. Era il 2011 e i boss si spartirono la torta del racket.
Quattro anni dopo si rompe il muro dell’omertà. I carabinieri del Nucleo investigativo, i finanzieri della Polizia valutaria e i poliziotti della sezione Criminalità organizzata della Squadra mobile fanno luce su questa e su altre tredici estorsioni. Alcune solo tentate, altre portate a termine.
Da qui il blitz Apocalisse 2, seconda tranche della retata che l’estate scorsa mandò all’aria i piani della nuova mafia di Resuttana e San Lorenzo. Le misure cautelari, chieste dai pm Teresi, Luise, Picozzi, Scaletta, Tartaglia e Del Bene raggiungono ventisette persone. In manette finisce anche un politico, Pino Faraone, consigliere comunale a Palermo del Megafono, ex assessore provinciale e candidato alle regionali con la lista di Rosario Crocetta.
I capi – da Girolamo Biondino a Vito Galatolo, da Onofrio Terracchio a Giuseppe Fricano – sono detenuti da alcuni mesi. L’operazione interforze colpisce la manovalanza dei clan e porta con sé un’importante novità: la collaborazione – seppure solo dopo essere stati messi di fronte all’evidenza degli elementi investigativi – di tutti i commercianti estorti. Si va da chi sborsava 3 euro alla settimana – il pizzo oggi a Palermo si paga anche con gli spiccioli – imposto alla bancarelle abusive del rione Zen ai 30 mila euro per i lavori edili.
Dalle intercettazioni viene fuori l’esistenza di un libro mastro del racket. Uno degli arrestati parlava di nomi e cifre da segnare in contabilità, nel rigido rispetto della regola che vuole “metà dei soldi per i carcerati e metà nella cassa della famiglia” per pagare boss e picciotti. Quella descritta dalle indagini è la storia di una mafia che nella parte di città che fu feudo di potenti famiglie come i Riccobono, i Madonia e i Lo Piccolo lo spessore criminale si è abbassato, senza fare venire meno la capacità di intimidazione dei clan. Ampie fette del tessuto economico resta sotto giogo.
Le due operazioni Apocalisse hanno fatto emergere una cinquantina di estorsioni. Non è un dato da sottovalutare, così come quello che viene dalla vicenda del pizzo imposto agli imprenditori che stavano ristrutturando il palazzo per conto della Curia, totalmente ignara ed estranea alle indagini: per la riscossione della messa a posto si erano messe d’accordo le famiglie di Porta Nuova, San Lorenzo e Bagheria, a testimonianza di una mafia dalle alleanze sempre più fluide.
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09 Febbraio 2015, 07:00