09 Giugno 2016, 16:50
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PALERMO – Il 6 ottobre 2012 Vito Rizzuto torna in libertà. Ci sono due possibilità: il boss sceglierà una linea guardinga oppure attaccherà a testa bassa. La storia ci racconterà di una lunga scia di sangue e morti per le strade di Montreal. Il sangue dei traditori. Una scia interrotta nel 2014 con la morte di don Vito, colpito dal cancro.
L’obiettivo della controffensiva era Raynald Desjardins, l’uomo cresciuto all’ombra del capo che, ad un certo punto, decise di prendersi il potere. Qui entra in gioco la figura di Salvatore Montagna, soprannominato Sal Ironworker. Sal il fabbro era nato a Montreal nel 1971 da una famiglia originaria di Castellammare del Golfo che aveva deciso di tornare in Sicilia. Salvo poi rifare le valigie per l’America a metà degli anni Ottanta. Destinazione New York, dove Montagna entrò nell’orbita dei Bonanno, diventando il braccio destro di Sal Vitale, consigliere della famiglia. Quando il reggente del clan, Joe Massimo, saltò il fosso, le attenzioni degli investigatori si concentrarono su Montagna, indicato come il possibile successore del pentito. Il risultato fu l’espulsione di Sal dagli Stati Uniti e il suo ritorno forzato a Montreal, in Canada. Qui fece ingresso nel clan dei Rizzuto. Gli investigatori annotarono una coincidenza (?): il suo ingresso nella sesta famiglia coincise con l’inizio dell’offensiva contro i Rizzuto.
La figura di Montagna è strettamente legata a quella di Raynald Desjardins, l’uomo che aveva approfittato dell’arresto del capo per scalare posizioni di potere, diventando il principale esponente della fazione calabro-francofona decisa a prendere le redini dell’intera organizzazione. Il 16 settembre 2011 Desjardins scampava fortunosamente ad un agguato. Il 24 novembre 2011 a Charlemagne, una cittadina nei sobborghi di Montreal, veniva rinvenuto il cadavere di Sal Montagna. Un mese dopo il delitto Desjardins finiva in carcere con l’accusa di avere eliminato Montagna.
Il 5 novembre 2012, sempre a Montreal, veniva ucciso il 72 enne Joe Di Maulo, cognato di Desjardins, colpito da una fucilata mentre si trovava a casa. Il primo a capire che tirava una brutta aria fu Juan Ramon Fernandez, l’uomo che sarebbe stato assassinato a Bagheria. Nei mesi precedenti alla scarcerazione di Vito Rizzuto le microspie dei carabinieri del Ros captarono il clima di tensione.
L’11 agosto 2012. Fernandez contattava Frank Campoli e successivamente Rosario Staffiere. Frank Campoli è un uomo d’affari di Toronto, imparentato con la famiglia Rizzuto. Ha sposato una cugina della moglie. Staffiere è il titolare di una agenzia di noleggio di auto di lusso. “… lo sai che il giorno si avvicina… sta in salute, è magro, è magro”, dicevano del capo. Subito si pensò di organizzare una riunione operativa incontro con don Vito Rizzuto per il successivo 22 novembre, a Cuba. Fernandez cominciava ad avere paura: “… mi vuole mettere alla prova, lui, verrà, quindi vuole sapere se ho ancora intenzione di vederlo, e io ho detto ‘si naturalmente’ c’è un altro… prendermi un colpo nella fottuta testa, naturalmente ho intenzione di vederlo sì, ho già parlato con qualcuno ed è una cosa positiva”.
Il giorno della scarcerazione il narcotrafficante si mostrava euforico con Staffiere“… sono felice cazzo, è grandioso amico… vorrei essere stato lì con lui, ma comunque, lui si prenderà una vacanza di sicuro”. Da quel momento in poi Fernandez cercherà più volte di mettersi in contatto con il boss. Ci riuscirà il 17 ottobre 2012. Lo contattò Staffiere perché in linea c’era il “number one”. Il collegamento era pessimo. Fecero in tempo a scambiarsi un breve saluto.
Quando ammazzarono Joe Di Maulo lo scenario cambiò. Fernandez cercò di attingere notizie tramite con un anziano affiliato alla famiglia Rizzuto residente a Montreal: Antonio Carbone. Parlando con lui Fernandez prendeva le parti di Rizzuto e condannava chi aveva cercato di spodestarlo in sua assenza: “È come il proverbio quando il gatto non c’è i topi ballano ma i topi possono ballare solo per un po’, perché sono piccoli… vaffanculo a loro”. Fernandez, annotano i carabinieri, stava solo cercando di avere conferme sulla matrice dell’omicidio di Joe Di Maulo.
Il clan Rizzuto aveva più di un sospetto che Fernandez avesse tradito, alleandosi con i calabresi. Carbone lo metteva in guardia. I contatti c’erano stati davvero attraverso un personaggio identificato in Francesco Arcadi, uomo di fiducia e guardaspalle di Vito Rizzuto. Anche la stima nei confronti di Arcadi vacillava. Fernandez, ormai giunto a Bagheria, si sentiva al sicuro. Anche perché, lo raccontava a Carbone, gli amici siciliani lo avevano accolto a braccia aperte. Siciliani, ma anche calabresi come quelli che “sono venuti a trovarmi da Catania… e hanno detto: abbiamo saputo che eri qui, possiamo aiutarti in qualche modo e io ho detto: sono a posto. Lo sappiamo e manda i nostri saluti al tuo amico. Qualcuno è stato proprio a Toronto da quaggiù, dalla Calabria, deve venire, deve venire a trovarmi”.
Nel corso della stessa conversazione Fernandez chiedeva notizie di Rocco Sollecito, altro importante esponete della organizzazione Rizzuto. Uno degli ultimi caduti, pochi giorni fa, nella faida canadese. “Che mi dici di Rocco”; “no no Rocco, ha avuto 6 mesi ed è tornato a casa”.
Fernandez si sentiva al sicuro, dunque, lontano dal Canada. Forse aveva sottovalutato, almeno all’inizio, la sua mancata presenza al summit cubano prima e al secondo appuntamento fissato in Messico con Vito Rizzuto. Era stato convocato da Frank Campoli. Fernandez, però, temeva di beccarsi un colpo di pistola alla testa. E cercò di spiegarlo a Sollecito.
Il 7 dicembre 2012 una conversazione fra Carbone e Fernandez potrebbe rappresentare il punto di svolta dell’intera vicenda visto che il primo spiegava al secondo che Rocco Sollecito, nonostante le pressanti richieste per avere un colloquio con lui, non aveva alcuna intenzione di parlare al telefono. Temeva le intercettazioni, così diceva. Il motivo sarebbe stato un altro. Ormai in Canada sapevano che Fernandez, cresciuto al fianco di Vito Rizzuto, non aveva deciso con chi schierarsi. Anzi, trattava con Desjardins
Nel frattempo la scia di sangue si allungava. Tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013 furono trucidati, uno dopo l’altro, Giuseppe Fetta, Domenico Facchini, Gaetan Gossleijn (cognato di Raynald Desjardins), Vincenzo Scuderi, James Bertrand. Erano tutti esponenti del clan dei calabresi.
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09 Giugno 2016, 16:50