07 Maggio 2015, 08:00
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PALERMO – Un professionista in combutta con la mafia. Così viene definito dagli investigatori. È impressionante l’elenco di beni che la Dia ha sequestrato al commercialista di Villabate, Giuseppe Acanto. Un elenco sterminato di case, terreni, aziende, partecipazioni societarie e soldi in contanti fino a raggiungere il valore complessivo di 780 milioni di euro.
Le indagini della Direzione investigativa antimafia – coordinate dal direttore nazionale Nunzio Ferla e dal capo centro Riccardo Sciuto – sfociano in uno dei più grossi sequestri mai disposti dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Tutti i particolari dell’operazione saranno resi noti alle 11 nel corso di una conferenza stampa a Villa Ahrens, sede della Dia di Palermo. Nel frattempo sono in corso numerose perquisizioni.
Il pentito Francesco Campanella di Acanto disse che era coinvolto nella mega truffa organizzata da Giovanni Sucato, il mago dei soldi di Villabate. Acanto era pure finito sotto inchiesta, ma alla fine la sua posizione fu archiviata. Se le prove raccolte non sono sufficienti a giustificare la celebrazione di un processo penale e l’eventuale condanna, possono però bastare a tracciare il quadro di pericolosità sociale che sta alla base dei sequestri preventivi.
Acanto è stato più volte accostato al clan mafioso dei Mandalà di Villabate. In particolare, la vicenda della sua candidatura alle regionali del 2001, nella lista del Biancofiore, è stata cristallizzata dai giudici che hanno condannato Totò Cuffaro per i favori resi a Cosa nostra dall’ex presidente della Regione. Acanto raccolse 1941 voti, ma non gli bastarono per ottenere uno scranno a Sala d’Ercole. Fu il primo dei non eletti, ma in parlamento ci arrivò dopo l’arresto di Antonio Borzacchelli (coinvolto nell’inchiesta sulle talpe nella Dda di Palermo, Borzacchelli fu successivamente assolto dal reato di concussione, mentre la violazione del segreto istruttorio fu dichiarata prescritta).
Di Acanto, già consigliere comunale tra il 1990 e il 1994, aveva parlato il collaboratore di giustizia Campanella che lo inseriva nell’elenco dei politici che avrebbero avuto rapporti e frequentazioni con gli esponenti mafiosi. Erano gli anni in cui i Mandalà si sarebbero attivati per ottenere dal consiglio comunale una variante che desse il via libera alla costruzione di un mega centro commerciale. L’inchiesta, però, finì con un nulla di fatto.
I racconti del collaboratore sono, però, finiti nella motivazione con cui la Cassazione ha reso definitiva la condanna sette anni inflitta a Cuffaro. “L’esito finale del colloquio tra Campanella e Cuffaro – scrivevano i supremi giudici – era stato l’inserimento di Acanto in lista”. Ed ancora: “Cuffaro, pur consapevole della caratura mafiosa dei Mandalà e pur conoscendo che l”Acanto era stato sostenuto elettoralmente da tale famiglia (che si era impegnata in ogni modo con finanziamenti, stampa, distribuzione di fac-simili elettorali) aveva conferito all’Acanto un incarico”. Acanto, dopo la mancata elezione e prima di subentrare a Borzacchelli, era stato nominato liquidatore di alcune cooperative. Tutte vicende che hanno fatto scattare la contestazione dell’aggravante mafiosa per Cuffaro e che ora servirebbero a dimostrare la pericolosità sociale del ragioniere di Villabate.
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07 Maggio 2015, 08:00