18 Aprile 2017, 06:00
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PALERMO – “A’nciuria” è l’altra faccia dei siciliani. Non c’è paese o borgata di città dove non si usino i soprannomi. Una qualità fisica o caratteriale dà origine ai nomignoli. Cosa nostra non sfugge alla consuetudine e così le carte processuali si riempiono di riferimenti che a volte restano incomprensibili. Persino l’identità di chi porta il soprannome sfugge all’identificazione. Il risultato è che uomini al soldo dei clan o comunque impegnati in affari illeciti sono ancora oggi inseriti nell’elenco delle “persone non identificate”. Hanno rivestito e rivestono ruoli di primo piano. A volte, invece, sono solo comprimari della manovalanza mafiosa. Il mensile “S” in edicola da domani dedica uno speciale agli innominati del quale diamo un’anticipazione.
Alcuni soprannomi fanno ormai parte della letteratura di Cosa nostra. Da Totò Riina, u Curtu, a Bernardo Provenzano, Binu u tratturi, da Michele Greco, il Papa, a Matteo Messina Denaro, Diabolik. Altri, invece, appartengono alle recenti cronache giudiziarie. Tra i verbali acquisiti agli atti delle ultime indagini ci sono quelli di Giovanni Vitale, anche lui conosciuto con un soprannome, il Panda. Guai a pensare che tutto nasca dalle sue fattezze fisiche. L’uomo della droga e del pizzo a Resuttana lo ha voluto chiarire subito. È stata tra le prime cose dette quando ha scelto di pentirsi. Andava in giro con una macchina, modello Fiat Panda. Tutto qua. I suoi chili di troppo nulla c’entrano.
Almeno una spiegazione c’è. Chissà perché allo Zen un ragazzo fosse stato soprannominato il Topo: “Mio cugino Domenico Serio in un’occasione mi aveva proposto, unitamente a Giovanni Botta, di raccogliere il guadagno del lotto e del totocalcio clandestino e consegnarlo allo stesso Giovanni Botta o a Michele Catalano. Uno dei soggetti a cui ricordo di aver consegnato denaro era un tale detto il Topo e un altro di cui non ricordo il nome, ma so che il figlio lavora nella carnezzeria di Pallavicino prima di via Trapani Pescia”. Erano gli anni del totonero quando i clan facevano soldi a palate raccogliendo le scommesse sugli eventi sportivi. Erano talmente tanti i soldi che Vitale li raccoglieva nei sacchi, quelli “neri della spazzatura”. Vitale era affiliato al mandamento di Resuttana, ma è originario del rione Guadagna dove i “clandestini” erano appannaggio di un altro cognome della mafia che conta: “Rosario Profeta all’inizio… ecco, si occupava di clandestini Rosario anche… c’era un certo Me lo prendi papà che lo chiamavano Me lo prendi papà della Guadagna… e alcune volte mi ricordo che se c’era qualche… bolletta grossa… mi dava i soldi…”. Stavolta il nomignolo è davvero singolare. Più che criptico, si potrebbe definire ermetico.
Alcune volte il soprannome è identificativo di una qualità. Non è detto che sia positiva, anzi. Vitale parla di un tale “Massimo Billeci, no che lavorava con me. Mi accompagnò allora a Napoli per farmela acquistare (sta parlando di cocaina, ndr) perché lui diciamo fa come mestiere… diciamo il Pataccaro”. Forse per via della merce contraffatta che riusciva a piazzare a qualche malcapitato.
Ruoli diversi, di tutt’altro spessore a giudicare dalle dichiarazioni del pentito, li avrebbero ricoperti il Mastro, u Tignusu e Biscottino. Il Mastro è “Michele Pillitteri che aveva appuntamenti per discutere di riscossione del pizzo nei cantieri con Fricano (Giuseppe Fricano, reggente del mandamento di Resuttana, ndr) e con Gioacchino Intravaia presso l’officina di Calogero Ventimiglia, all’epoca in cui Giulio Caporrimo (boss di San Lorenzo di recente scarcerato per fine pena, ndr) era libero e Fricano non era ancora affiliato, ma a disposizione del Caporrimo che lo appoggiava. I due mi hanno mandato a richiedere il pizzo in quel periodo a Villa Giuditta e Speak Easy”. Sono i nomi due due storiche discoteche palermitane. U Tistuni è “Gigetto Siragusa” che lo “avevano messo” a gestire l’ippodromo. Era stata una scelta accettata da tutti perché “Gigetto ne capiva di ippodromo… gli piacciono i cavalli… sono giocatori, scommettitori, quindi loro ne capiscono abbastanza”. Iniziava il nuovo corso all’interno della struttura di viale del Fante. Bisognava lasciarsi alla spalle “la baldoria… se dovevo fermare un cavallo ci andavo e già mi sbrigavo, e poi li lasciavo là e me ne andavo… a loro invece gli piaceva stare là. Noi quando fermavano i cavalli, anche quando c’ero io, non è che rimanevo là a vedermi le corse… facevo questo e subito me ne andavo. Meno mi facevo vedere meglio era…”. Quelli di prima “invece come i vastasi arrivavano c’era più baldoria che altre cose”.
La vicenda dell’ippodromo è ancora tutta da chiarire dal punto di vista investigativo: “Nel 2005-2004, prima dell’arresto di Sergio Giannusa comunque, ero all’Ippodromo con Profeta e Gioacchino Intravaia sempre che fa parte di Resuttana”. L’ippodromo della Favorita è chiuso da alcune settimane. La società Ires che gestisce l’impianto ha detto basta: serve l’intervento delle forze dell’ordine “per garantire il corretto svolgimento delle corse e scongiurare il rischio di infiltrazione della criminalità organizzata presso l’ippodromo”. Sul mensile “S” in edicola e acquistabile online tutte le intercettazioni e i verbali.
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18 Aprile 2017, 06:00