“Voto di scambio politico-mafioso” | Chiesti 8 anni per Antinoro

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27 Marzo 2013, 15:10

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PALERMO – Otto anni. La Procura generale formula la stessa richiesta di pena che l’accusa aveva avanzato in primo grado. Allora l’eurodeputato del Pid, Antonello Antinoro, fu condannato a due anni e due mesi. In Tribunale cadde, infatti, l’ipotesi che il reato fosse aggravato dall’agevolazione di Cosa Nostra. Un’aggravante che il pg è tornato a contestare in appello all’imputato.

Antinoro, che ha reso dichiarazioni spontanee, si difende. Continua ad escludere di avere avuto consapevolezza della caratura dei personaggi ai quali si era rivolto per affigge i manifesti della sua campagna elettorale alle regionali del 2008. Secondo il sostituto procuratore generale Salvatore Messina l’europarlamentare avrebbe, invece, comprato voti dalla famiglia mafiosa dell’Arenella. Sessanta preferenze al prezzo di 50 euro ciascuna. Una ipotesi che i magistrati in primo grado non ritennero veritiera: “Non è possibile affermare se i voti procurati siano stati sessanta come ipotizzato dal capo d’accusa, o vero in numero inferiore o maggiore. E’ altresì dubbio che ci sia stato una sorta di tarrifaria pari a 50 euro a voto”.

Nelle motivazioni della condanna il Tribunale aveva tirato in ballo il presunto legame di Antinoro col boss Salvo Genova, gettando “una pesante ombra sulla personalità di Antinoro, screditandone l’immagine pubblica con un sospetto di disponibilità verso certi ambienti mafiosi, che va ben oltre il disvalore della condotta di corruzione elettorale accertata”. Gli stessi giudici, però, non ritennero che ci fosse la prova dell’aggravante mafiosa e riqualificarono il reato di voto di scambio elettorale politico-mafioso in quello di corruzione elettorale.

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“Il Tribunale – si leggeva nella motivazione della condanna – ritiene, in definitiva, che l’ipotesi accusatoria contestata ad Antinoro, quella cioè di essersi reso protagonista di voto di scambio politico mafioso con esponenti del mandamento di Resuttana, non sia rimasta compiutamente dimostrata, e che dunque, tenendo conto della peculiare portata normativa del reato contestato, debba darsi al fatto compiutamente accertato, una definizione giuridica diversa da quella enunciata nel capo di imputazione. E’ escluso, dunque, che l’Antinoro abbia avuto contezza di essere di fronte a personaggi mafiosi di rango “.

La ricostruzione dell’accusa, allora come oggi, si basa su due incontri avvenuto a marzo e aprile del 2008, prima dello svolgimento delle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale e del Parlamento, tra Antinoro e alcune persone, all’epoca incensurate, ma sospettate di essere legate a Cosa nostra: Agostino Pizzuto, Antonino Caruso, e Vincenzo Troia. Nel corso di quegli incontri Antinoro avrebbe promesso e poi pagato una somma compresa tra i 3000 e i 5000 euro”. Mancava, però, secondo il Tribunale, la prova che l’imputato sapesse che i suoi interlocutori erano mafiosi di Resuttana e che, Troia, tra le persone presenti agli incontri, era in quel momento “reggente” della famiglia mafiosa di Pallavicino.

Il 9 maggio toccherà all’avvocato Massimo Motisi sostenere le tesi della difesa, certo di avere dimostrato che alcuni dei personaggi citati nella ricostruzione della Procura non andarono neppure a votare. E che, passaggio per altro citato nella motivazione di primo grado, Caruso mise in giro la storia, falsa, dei soldi pagati da Antinoro. Il 29, la sentenza.

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27 Marzo 2013, 15:10

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