06 Gennaio 2015, 06:00
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PALERMO – Gli insospettabili di Cosa nostra. Li possiamo definire così leggendo i verbali del collaboratore di giustizia Antonino Zarcone. Gente neppure affiliata formalmente, ma che ha un grosso peso all’interno dell’organizzazione criminale. Il pentito di Bagheria ne conosce i nomi e li ha forniti ai magistrati.
Gli insospettabili non sono stati assoldati soltanto dal clan del popoloso centro in provincia, ma anche nelle file della nuova Cosa nostra palermitana. Quella di cui parla Zarcone è una mafia che cambia pelle. Va oltre le regole della tradizione e per questo rischia di diventare più pericolosa di quanto non lo sia stata nel recente passato.
I mandamenti, fiaccati dagli arresti, scelgono facce pulite per provare a riorganizzarsi. Una situazione che Zarcone ricostruisce nel corso di un controesame serrato. Al processo contro il clan bagherse il collaboratore racconta che né lui né Gino Di Salvo, piazzato dall’accusa al vertice del mandamento, all’inizio erano formalmente affiliati. Eppure, così racconta, ciò non ha impedito loro di ricoprire ruoli strategici. “Allora essere affiliati o non essere affiliati non significa niente in Cosa Nostra?”, chiede l’avvocato Giovanni Castronovo. E Zarcone risponde: “Allora, avvocato, è una cosa formale perché noi abbiamo avuto i rapporti anche con soggetti non ufficialmente affiliati che hanno la reggenza di altri mandamenti di cui già gli inquirenti sono a conoscenza, che però ufficialmente non sono affiliati”. Ecco saltare fuori gli insospettabili alla guida dei mandamenti mafiosi di Palermo e provincia. Il pentimento di Zarcone rappresenta una miniera di informazioni per i pubblici ministeri che si misurano con le strategie dei boss.
La linea della nuova Cosa nostra che prescinde dalla tradizionale punciuta è passata non senza polemiche. In provincia c’è chi ha storto il naso. “Sergio Flamia (boss di Bagheria pure lui oggi collaboratore di giustizia) – racconta Zarcone – aveva un ruolo abbastanza importante anche su tutto il territorio del mandamento, perché era un soggetto da tantissimi anni che era stato sempre vicino agli esponenti di Cosa Nostra… non gli interessava nulla se effettivamente doveva essere affiliato o non affiliato, anche perché aveva potere e poteva fare quello che voleva. Infatti ci fu anche una discussione con Nino Teresi della reggenza di Trabia, di cui Nino Teresi ufficialmente risultava reggente nel mandamento di Trabia, e Sergio Flamia – il racconto prosegue -, non essendo neanche affiliato, lo trattò di brutto e Nino Teresi si andava cercando poi aiuto perché Sergio Flamia non poteva parlare essendo ufficialmente non un uomo d’onore, in quelle condizioni, e trattare a Nino Teresi in quelle circostanze”.
Alla fine Flamia ebbe la meglio: “Sta di fatto che nessuno ha preso le parti di Nino Teresi, anche perché Sergio Flamia garantiva della copertura di Pino Scaduto e di altri esponenti del mandamento di Bagheria”. Nella nuova mafia conta più la sostanza che la forma “perché l’affiliazione sul mandamento di Bagheria non significa quasi nulla, perché bene o male ci sono stati diversi episodi di persone che sono reggenti e usufruiscono di soggetti che vanno camminando per conto di Cosa Nostra e prendono estorsioni, che non hanno bisogno di essere affiliati, ma hanno un ruolo ugualmente di spicco… non c’è nessun vincolo e non ci sono tutte queste vecchie norme antiche che esistevano una volta, anche perché ci sono stati diversi episodi”.
Episodi su cui Zarcone nulla aggiunge. Non può farlo. I dettagli fanno parte dei verbali ancora top secret del collaboratore sulla base dei quali la magistratura ha già avviato la caccia agli insospettabili uomini di Cosa nostra.
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06 Gennaio 2015, 06:00