18 Luglio 2016, 19:40
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PALERMO – Potremmo archiviare la faccenda alla voce “fraintendimento”, come dice uno dei protagonisti, ma sarebbe troppo facile e ingiusto. Poliziotti che vanno dai magistrati e magistrati che fanno relazioni di servizio, ma dicono cose diverse. In parte si smentiscono. Documenti che saltano fuori a distanza di vent’anni. Nuovi interrogatori già fatti, altri da fare e persone che non sono mai state sentite, nonostante oggi si scopra che forse avrebbero avuto qualcosa da dire. Parenti “costretti” a scavare ancora nel dolore. Il mensile “S” disponibile online e in tutte le edicole dedica uno speciale ai nuovi verbali sulla strage di Via D’Amelio.
Alcuni amano usare la parola “giallo” per descrivere gli ultimi episodi che segnano la strada verso la verità sula strage di via D’Amelio. Anche la parola “giallo” è troppo facile da spendere. Siamo di fronte, infatti, a un innegabile guazzabuglio. Il processo denominato Borsellino quater è una babele dove accade di tutto. Sotto processo ci sono due imputati – Vittorio Tutino e Salvino Madonia – accusati di avere massacrato Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. La Corte d’assise di Caltanissetta, presieduta da Antonio Balsamo, sta processando per calunnia anche i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci. I pm Gabriele Paci e Stefano Luciani sono ripartiti dalle macerie dei processi costruiti sulle dichiarazioni farlocche dei collaboratori. Processi crollati impietosamente. Abbaglio o malafede? Ecco il cuore della questione. Perché le bugie di Scarantino furono prese per oro colato? Fu solo colpa della fretta di trovare i colpevoli? O, ancora, ed è l’ipotesi più inquietante, la verità taroccata di Scarantino & company fu costruita a tavolino e resa credibile per nascondere chissà quali nefandezze?
Nelle scorse settimane i pentiti sono stati messi a confronto con alcuni magistrati e poliziotti che gestirono i collaboratori di giustizia. Si sono accusati a vicenda. I primi raccontando di essere stati ammaestrati con la violenza. I secondi spiegando di avere servito sempre con fedeltà lo Stato. Ognuno arroccato sulle proprie posizioni.
Quando ormai il processo era prossimo alla conclusione ecco il colpo di scena. Gioacchino Genchi, poliziotto sospeso per contestatissime ragioni disciplinari, reintegrato dai giudici amministrativi e di nuovo stoppato, a fine maggio si è presentato nella stanza del sostituto procuratore generale Domenico Gozzo, che oggi è in servizio a Palermo, ma che è stato pm a Caltanissetta dove ha lavorato alle inchieste sulle stragi del ’92. Genchi faceva parte del gruppo investigativo “Falcone e “Borsellino” da cui andò via sbattendo la porta. Solo che il poliziotto, uno dei più esperti consulenti informatici chiamato dalle Procure di mezza Italia, e il pm dicono cose diverse su quanto si sono detti nell’ufficio del magistrato.
È stato, dunque, necessario sentirli. Stesa cosa è avvenuta per il poliziotto Bartolo Iuppa e per i figli di Paolo Borsellino, Lucia e Manfredi. A metà luglio saranno tutti convocati in aula per rendere testimonianza davanti ai giudici. Passando in rassegna gli atti investigativi delle ultime settimane, al netto delle divergenze, emergono però nuovi tasselli sulla lacunosità delle indagini. Ciò che viene fuori è la certezza che non tutto è stato fatto per accertare la verità. Forse c’era qualcuno che poteva aggiungere elementi di chiarezza, ma non siamo in grado di eliminare il “forse” perché nessuno li ha interrogati.
Il 30 maggio scorso il sostituto procuratore generale Domenico Gozzo presenta una relazione di servizio. Nella sua stanza è andato a trovarlo Genchi.
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18 Luglio 2016, 19:40