Cronaca

“Mala gestio”: amministratore giudiziario condannato

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21 Maggio 2021, 17:34

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PALERMO – La quinta sezione civile del tribunale di Palermo ha condannato l’amministratore giudiziario Andrea Modica De Mohac a pagare tre milioni e 300 mila euro (condanna pochi giorni fa sospesa per un terzo della cifra) all’impresa Tosa Costruzioni, gestita dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati. La sentenza è del 30 ottobre scorso, ma la notizia è emersa oggi nel contesto di un altro processo.

Andrea Modica de Mohac, assistito dall’avvocato Irene Carta Cerrella, ha proposto appello avverso la predetta sentenza di condanna, “evidenziando ben 18 motivi di impugnazione e chiedendo, in via cautelare, – dice il legale – la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza. La Corte di appello di Palermo, sezione specializzata per le imprese, con ordinanza del 5 maggio scorso, ha sospeso di un terzo la condanna del Tribunale, avendo cura di precisare che ‘la parte appellante ha ricollegato i gravi e fondati motivi’ innanzitutto alle ragioni del gravame, con motivi che, anche alla luce delle complessive emergenze processuali e delle allegazioni, meritano, quantomeno per parte dei profili addotti, idoneo approfondimento, non risultando, in base alla limitata disamina propria di questa fase, prima facie privi di fondamento”.

Un conto salatissimo per quello che il presidente Claudia Turco e il giudice relatore Rachele Monfredi, nella motivazione, descrivono come un caso di mala gestio di un bene confiscato, con intrecci e conflitti di interessi, compensi non dovuti e operazioni non autorizzate dal giudice delegato.

L’impresa, un tempo di proprietà dell’imprenditore Giuseppe Torres, a cui è stata tolta definitivamente, è stata gestita da Modica De Mohac dal 2006 al 2010. Quindi è passata all’amministratore Luigi Miserendino (assolto nel processo penale che riguardava la gestione del patrimonio Ferdico) e infine, una volta divenuta definitiva l’acquisizione al patrimonio dello Stato, nel 2016 è passata sotto il controllo dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati.

È stata la nuova amministrazione a setacciare i conti e a fare emergere, in fase di liquidazione, una serie di presunte irregolarità. In particolare, si parla di “contratti del tutto irragionevoli dal punto di vista economico, talvolta estranei all’oggetto sociale, in molti casi in palese conflitto di interessi e in mancanza dell’autorizzazione del Tribunale, procurando alla società esborsi consistenti del tutto ingiustificati, spesso in favore di persone fisiche legate a sé da rapporti professionali o familiari e di persone giuridiche riconducibili ai suoi fratelli e a sé stesso”.

In questa maniera, avrebbe dissipato le risorse sociali, “cagionando una grave crisi di liquidità”. De Mohac ha chiesto il rigetto della domanda “osservando che, avendo egli rivestito la doppia carica di amministratore giudiziario delle quote e di amministratore della società, stante la incontestata soggettività giuridica della Tosa, quando agiva nella qualità di amministratore della Tosa, doveva rendere conto esclusivamente ai soci che potevano esercitare il controllo sul suo operato nelle forme di legge, con esclusione quindi dell’obbligo di munirsi di preventive autorizzazioni dell’autorità giudiziaria, agendo esso amministratore in virtù dei poteri conferitigli dallo statuto sociale”.

Insomma, secondo De Mohac, che in appello cercherà di fare valere le proprie ragioni, si è svolto tutto regolarmente. E ha contestato nel merito ogni singolo passaggio.

Non la pensa così il collegio che innanzitutto ha ribadito il principio di insindacabilità delle scelte di gestione da parte dell’amministratore. Quando si contesta la responsabilità a un amministratore per condotta negligente i giudici non devono valutare l’opportunità, la convenienza e il risultato delle azioni intraprese, per le quali va anche tenuto conto del rischio fisiologico di impresa, “bensì le modalità di esercizio del potere discrezionale che deve riconoscersi agli amministratori”.

A De Mohac vengono contestate, tra le altre cose, alcune commesse per lavori edili assegnate alle imprese edili dei fratelli, una consulenza ad un parente acquisito, (in quanto in conflitto di interesse, secondo il collegio, andavano autorizzate dal giudice), la mancata riscossione di crediti, e alcune operazioni contabili.

Il danno materiale viene quantificato in poco più di due milioni di euro, a cui vanno aggiunti 600 mila euro di danni morali e con gli interessi si arriva a tre milioni e 300 mila euro. Dopo la sospensione di un terzo della condanna si attende la decisione del collegio di appello.

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21 Maggio 2021, 17:34

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