Cronaca

Quando la maleducazione diventa odio social si finisce in Tribunale

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03 Marzo 2024, 07:00

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Eppure molti continuano a pensare il contrario. Quante volte abbiamo sentito dire da amici, parenti e conoscenti che tal dei tali ha pubblicato sul profilo social frasi o commenti minacciosi o offensivi? Il brodo di coltura dal quale germogliano questi fenomeni contiene i più disparati ingredienti: si va dalla
relazione sentimentale finita male (magari in seguito alla scoperta di un tradimento), fino ad arrivare alle divergenze d’opinioni su qualsiasi argomento.

Dalla cucina alla politica, dai gusti in tema di abbigliamento alla cura dell’animale domestico. Ogni pretesto, in tempi d’intolleranza (e di maleducazione) diffusa, può essere sfruttato dai “leoni da tastiera” – così vengono appellati dai frequentatori dei social quei personaggi che sono affabili nella vita “analogica”, e feroci in quella digitale per esibire il loro ruggito telematico. La diffamazione è, forse, il reato meno grave e più diffuso che ricorre in casi del genere: consiste nell’offendere l’onore o la reputazione di una persona che non partecipa a una comunicazione rivolta a più persone. E non importa se queste ultime non sono identificate con precisione: ogni utente avrà un cospicuo numero di “amici”, o sarebbe meglio dire contatti, che leggeranno gli improperi e le contumelie pubblicate sul web.

La gran parte di questi episodi non varca le aule di giustizia: talvolta il diffamato risponde per le rime e rintuzza il felino telematico ritorcendogli contro le sue stesse parole, in qualche altra occasione lascia correre, in attesa che l’effimera attenzione dei lettori si lasci distrarre dal diluvio quotidiano dei post. Ma ci sono anche i casi in cui, vuoi per puntiglio, vuoi per la necessità di porre fine ad attacchi mediatici che vanno molto al di là della soglia di tollerabilità, si mette mano alla querela. E il selvatico leone da
tastiera, avutane notizia e tornato nei panni dell’innocuo micio domestico, dovrà correre dall’avvocato per trovare il modo di uscire dal guaio nel quale si è cacciato.

Perché pare che l’aspetto più curioso di questo fenomeno sia proprio questo: gli autori dei post offensivi, diffamatori o minacciosi sono in realtà individui molto mansueti quando si relazionano con qualcuno nella vita quotidiana. È la tastiera, e la sensazione di solitudine cosmica che questa trasmette a risvegliare in loro l’innato istinto all’insulto e all’oltraggio. Non mancano casi in cui si va ben oltre la diffamazione aggravata dall’uso del “mezzo di pubblicità”: chi prospetta un male ingiusto con l’uso della rete internet sicuramente risponde del reato di minaccia.

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Chi lo fa sistematicamente, prendendo di mira una persona e bombardandola di espressioni moleste oppure minacciose, fino a provocare nella vittima ansia o timore per l’incolumità propria o di un congiunto, rischia la contestazione di stalking. Il crescendo della soglia di gravità penale delle condotte che più spesso si commettono con l’uso improprio dei social – per fermarci alle più comuni, si capisce – culmina nel revenge porn, cioè nella diffusione di video o immagini sessualmente esplicite destinate a rimanere private senza il consenso dei protagonisti: chi lo fa, rischia fino a sei anni di carcere.

I social – dicono quelli che se ne servono​ quotidianamente – sono uno strumento utile per vari scopi, ma non si fa molto per incoraggiarne un uso responsabile perché difficilmente ci si sofferma a riflettere sulle conseguenze che possono derivare dalle situazioni patologiche che vi abbiamo, senza pretesa di completezza, illustrato. E quanto ai leoni da tastiera, farebbero meglio a fare le fusa piuttosto che ruggire: specialmente quando manca loro il coraggio di esprimersi dal vivo.

È meno rischioso essere smentiti a voce e nel corso di un confronto anche aspro con il proprio interlocutore, piuttosto che dover fare umilianti ritrattazioni in un’aula di tribunale.​

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03 Marzo 2024, 07:00

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