Indagata mamma di bimbi disabili | Quando la legge sa di ingiustizia

di

04 Dicembre 2015, 06:00

2 min di lettura

PALERMO – La legge ha il nobile fine di tutelare l’individuo, di essere al servizio dell’uomo. Il paradosso è che la sua rigida applicazione può arrivare a stritolarlo.

È il caso di una donna, madre adottiva di due bambini disabili. Fermata dai vigili urbani a Palermo, multata e adesso pure indagata per falso. La sua colpa? Avere esposto in macchina una fotocopia e non il pass originale per il parcheggio riservato ai portatori di handicap.

Procedura alla mano probabilmente non sono stati commessi errori, ma il paradosso di cui sopra si concretizza una manciata di minuti dopo le undici del 15 ottobre scorso. La donna arriva con la sua macchina in via Malaspina, a Palermo. Si ferma in uno stallo per disabili a pochi metri da una sanitaria specializzata. Non sta facendo shopping, deve ritirare un body walker, un tutore ordinato in Germania che serve a reggere le articolazioni di uno dei suoi figli. La donna vive, giorno dopo giorno, la scelta coraggiosa di diventare madre adottiva di due bambini con gravi disabilità. Fa la cardiologa, per altro molto apprezzata, in un ospedale pubblico palermitano e ha deciso di dedicare le energie della sua vita prendendosi cura di due bambini meno fortunati di altri.

Gli occhi dei due vigili zelanti, che poco prima avevano suggerito alla donna di parcheggiare nel posto riservato, cadono sul pass e annotano l’infrazione: nella macchina è stata esposta la “fotocopia a colori plastificata del contrassegno”. La donna spiega che non c’è alcuna irregolarità. Ha fatto sì la fotocopia, ma di un documento di cui è regolarmente titolare. Niente da fare. La procedura parte con la multa da 85 euro. Se paga entro cinque giorni ha diritto all’abbattimento fino a 59 euro e 50 centesimi. La mossa successiva è il sequestro del contrassegno e la denuncia alla Procura della Repubblica. Accade pure questo. Il sigillo finale è l’avviso di garanzia. Già, la mamma è finita nel registro degli indagati per “falsità materiale commessa dal privato”. Tutto giusto, tutto doveroso compresi gli accertamenti tecnici che saranno avviati per verificare se il contrassegno sia davvero falso.

Articoli Correlati

A questo punto è chiaro che alla donna serve un legale. Tocca agli avvocati Mauro Torti e Corrado Nicolaci cercare di evitarle il processo. Punteranno sulla personalità della dottoressa e della sua famiglia, ma proveranno anche a smontare nel merito l’accusa. Sono convinti, infatti, giurisprudenza alla mano, che “il reato di falso materiale si configura solo quando la fotocopia – così si legge in una recente sentenza della Cassazione – non si presenti come tale, bensì con l’apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno”. E poi che falso è se si tratta della fotocopia di un documento originale di cui si ha il legittimo possesso?

Siamo al ragionamento in punta di diritto con il linguaggio tecnico che ne consegue. Un linguaggio che finisce per distrarre. La storia di una donna coraggiosa passa in second’ordine quando l’applicazione del codice, seppure legittima, rischia di stritolare.

 

Pubblicato il

04 Dicembre 2015, 06:00

Condividi sui social