18 Novembre 2013, 19:58
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PALERMO – Le sedie blu, poco più di due anni fa, salutavano il commiato di Massimo Russo, il “bilancio conclusivo” nell’assessorato che fu “suo”. Per quattro anni e mezzo. Un tempo lunghissimo, considerati i ritmi incessanti e tumultuosi della Sanità siciliana. Al piano terra dell’assessorato regionale alla Salute, oggi, si è fatto un ulteriore passo in avanti verso la nuova Sanità. Quella di Lucia Borsellino. Che rimase al fianco di Russo, fino all’ultimo giorno. Anche quel giorno.
Oggi, invece, ironia della sorte (e dell’alfabeto), in quella sala hanno sfilato Ignazio Tozzo e Giuseppe Sciacca. Finiti dritti dritti dentro il calderone rovente del caso Humanitas. Sono, i due, tra gli aspiranti nuovi direttori generali delle aziende siciliane. Dirigente generale dello stesso assessorato in cui si trova, oggi, a vestire i panni dell’esaminato, il primo. Direttore generale della società attorno alla quale è sorto un caso tale da mandare (quasi) in frantumi la maggioranza, il secondo.
Sciacca, però, alle domande su Humanitas decide di non rispondere. In fondo, è lì per un altro motivo. Dribbla anche la domanda più logica: la società del quale è amministratore delegato e che ha sottoscritto un contratto con la Regione, sta pensando di rivalersi nei confronti dell’amministrazione che ha revocato la delibera del 2 luglio da cui tutto partì? No, Sciacca si limita a poche parole: “Io lavoro per la Humanitas. Non sono il proprietario. Certe decisioni spettano ai soci”.
Senza contare che il manager è lì per un altro motivo. C’è l’esame. L’orale. In una giornata in cui qualche big ha già sfilato in mattinata. In calendario ecco spuntare i nomi del direttore generale dell’Arpa, Francesco Licata di Baucina e l’attuale commissario dell’Asp di Palermo, Antonino Candela.
Il pomeriggio, invece, è il momento di Tozzo e Sciacca. I due “nomi” finiti dentro l’ultimo caos della Sanità, dal quale sono scaturiti una (quasi) crisi di governo, infuocate commissioni all’Ars, un clamoroso passo indietro, la minaccia di tagli ai posti letto ai privati e infine la “promessa” di una sfilza di rotazioni nelle Asp. Ma oggi, Tozzo e Sciacca sono due “esaminandi”.
Insieme agli altri quattro-cinque, per i quali i colloqui erano stati fissati per le tre del pomeriggio. Anche se a loro toccherà attendere un po’. Prima di loro, altri aspiranti direttori. Il primo si chiama Giovanni Di Ballo. Un passato da dirigente della polizia stradale. Il colloquio è, di fatto, un excursus “ragionato” della carriera del candidato. Le domande vertono su quella: cosa ha fatto in passato, come l’ha fatto, cosa farebbe se fosse al vertice di un’azienda siciliana. Ad alternarsi i tre commissari esterni. Al centro il magistrato in quiescenza Ernesto Morici, alla sua sinistra Marco Frey dell’Istituto Universitario Sant’Anna di Pisa (è lui a porre il maggior numero di domande, appuntando le risposte più interessanti su un pc) e il direttore dell’Agenas Fulvio Moirano.
Al primo aspirante manager, che ha snocciolato i risultati ottenuti in qualità di dirigente della polstrada, i commissari fanno piovere una domanda “fatidica”. “Si è mai occupato di gestione della Sanità?”. Il candidato, candidamente (è il caso di dirlo) risponde con un secco “no”. Risposta fotocopiata di fronte alla domanda successiva: “Ma immaginiamo si sia documentato, abbia cercato notizie sul ruolo del dirigente generale della Sanità…”. No, le competenze del candidato sono altre.
Circa venti minuti. Questa la durata media del colloquio. Il cinquantunenne catanese Antonio D’Urso racconta la sua esperienza in Toscana, a Lucca. E sembra convincere i commissari.
Intanto, fuori dalla porta, i due “nomi” del giorno fanno la spola tra la stanzetta di attesa, attigua alla sala dell’esame, e l’ingresso dell’assessorato. Tozzo è spesso al telefono. È di casa. E si vede. Pare tranquillo. “Credo che questo tipo di selezione – spiega – possa consentire di trovare la figura giusta al posto giusto. Non a caso anche io sono qui. Credo in questa metodologia”. Diverso l’atteggiamenteo di Sciacca. Cordiale, seppur trincerato dietro un “no-comment”. Un silenzio interrotto solo in rari casi. Per chiedere, ad esempio, al cronista che si era intrufolato nella sala degli esami: “Cosa chiedono? Che domande fanno?”.
La rassicurazione è fondata. Un quarantina di minuti dopo tocca a lui. E in effetti l’esame è tutto lì, anche per il direttore generale dell’Humanitas. Che racconta i suoi esordi con la Pricewaterhouse prima, con la Ernst & Young poi. Lì, ricorda Sciacca, “lavoravo dalle 9 del mattino alla mezzanotte, con mezz’ora appena di pausa”. Quindi, l’approdo in Humanitas. Una società nella quale Sciacca è stato chiamato nel doppio lavoro di ridurre i costi e di aumentare i budget. “Adesso per noi lavorano 230 collaboratori, 90 medici” racconta il manager con orgoglio. Al punto da spingere il commissario Frey a chiedere: “Come mai, allora, sta provando questo colloquio?”. La risposta è la stessa di qualche minuto, ma ha un suono diverso: “Io lavoro per la Humanitas, non sono il proprietario”. Bisogna pur pensare al futuro, insomma. Mentre il passato recente è ancora arroventato da una polemica non del tutto sopita.
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18 Novembre 2013, 19:58