20 Settembre 2016, 06:00
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PALERMO – Dalla strage Borsellino all’omicidio dell’urologo Attilio Manca, dal fallito attentato all’Addaura all’assassinio dell’agente Antonino Agostino, fino alla scomparsa di Emanuele Piazza.
Il pentito calabrese Antonino Lo Giudice non si ferma più. Racconta storie che ha appreso da altri. ‘De relato’, come si dice nel linguaggio da codice penale. L’ultimo verbale del maggio scorso stamani potrebbe entrare nel processo Borsellino quater a Caltanissetta. La memoria, che gli è tornata dopo anni di silenzi e ritrattazioni – il collaboratore si giustifica tirando in ballo le minacce subite dagli immancabili uomini dei servizi segreti – in alcuni passaggi lo tradisce. “Io mi sono dimenticato di questa cosa, mi ero dimenticato”, dice lo scorso maggio ai pm di Palermo Antonino Di Matteo e Roberto Tartaglia, e di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo. Lui che pentito lo è da anni si è dimenticato di riferire fatti e circostanze che hanno segnato con morte e dolore la vita di tante, troppe persone.
La strage Borsellino
Si è dimenticato ad esempio che, subito dopo le stragi del ’92, quando era detenuto nel carcere dell’Asinara “c’erano parecchi palermitani… c’era un certo Lo Presti, un altro suo paesano che si chiamava Pietro, un certo Pillera… Pietro Scotto, Ninì Geraci… questo Pietro Scotto dopo un paio di giorni ha cominciato a sbalestrare e parlando con questo Lo Presti che era di San Lorenzo… dice sono innocente… diceva che a suo fratello lo ha inguaiato un certo Giovanni Aiello”. Lo Presti è il cognome di una famiglia di mafiosi del mandamento di Porta Nuova, non di San Lorenzo. Solo ora affiora in Lo Giudice il ricordo delle parole di Scotto, il quale, imprecando, diceva “che era stato lui (Aiello, ndr) che aveva confezionato la bomba al dottore Borsellino che questo era dei sevizi segreti… con questo Lo Presti parlava e gridava come un pazzo al passeggio… questo u sfregiatu… Lo Presti rideva, rideva, invece Pietro, l’altro suo paesano gli diceva tappati la bocca, stai zitto”.
Giovanni Aiello, alias faccia da mostro, per via di uno sfregio al volto, è l’uomo dei misteri che Lo Giudice, e altri pentiti, piazzano negli angoli più bui della storia italiana. Lo Giudice e Aiello si sarebbero poi incontrati di persona, una decina di volte, e lo 007 gli avrebbe detto che “è stato lui… a preparare la bomba sulla 126, a farla scoppiare è stato lui… mi ha detto che era nascosto in un albergo là vicino, in altura, non lo so dov’è, io non ci sono mai stato, mi spiegava che un albergo in altura rispetto a dove era scoppiata”. Si torna a parlare, dunque, di Castello Utveggio, a Palermo, come base operativa dei servizi segreti.
Se c’è uno che sa tutto, dice Lo Giudice, quello è Bruno Contrada, capo della Mobile che ha scontato una lunga condanna per mafia: “Lo 077 mi disse che dopo la morte del magistrato Borsellino si rese latitante perché responsabile dell’attentato. Mi disse che quell’attentato era frutto di un paziente lavoro e che la firma era sua e che era stato mandato dal suo capo, Bruno Contrada e altre cariche di Stato…”.
Per rinfrescare la memoria Lo Giudice consulta e rilegge i passaggi di un memoriale in cui ha convogliato i ricordi. O meglio, le confidenze ricevute da Aiello: “Poi mi parlò di un attentato all’Addaura nei confronti del giudice Falcone e che per pura casualità fallì e che insieme ai suoi amici palermitani che si trovavano con un gommone dovettero abbandonare l’area dove sarebbe dovuto avvenire l’attentato”. Mai nessuno prima di lui, neppure altri pentiti ritenuti credibili, hanno riferito della presenza di Aiello in barca il giorno del fallito attentato del 1989 in cui doveva morire Giovanni Falcone. Aiello conosceva bene anche “l’uccisione di un suo collega Antonino Agostino, che lavorava nello steso commissariato San Lorenzo. Il poliziotto non era un venduto, né una persona dei servizi, aveva scoperto il doppio gioco che Aiello svolgeva sotto copertura e sotto le direttive di Bruno Contrada”.
E Lo Giudice aggiunge: “Aiello mi dice prima noi abbiamo ucciso Nino… Nino Agostino, insieme a un mio collega, però non mi fa il nome, non mi ricordo bene, poi dice: ho ucciso a Piazza che lavoriamo nello stesso ufficio sempre fatti che l’uno ha scoperto all’altro in cose strane”. Emanuele Piazza è stato inghiottito nel nulla. Il padre Giustino ne denunciò la scomparsa nel marzo del 1990. Prima, dunque, muore Agostino e poi Piazza. “Lei dice che questo secondo ucciso aveva partecipato all’omicidio del primo?”, gli chiedono i pm e lo Giudice ripete tre volte “Sì, sì, sì”.
L’ultimo segreto svelatogli da Aiello è quello sull’urologo Attilio Manca, trovato morto nel 2004 nella sua casa in provincia di Viterbo. In questi anni sono state fatte diverse ipotesi. Prima quella del suicidio, poi dell’omicidio voluto da Provenzano per eliminare un testimone scomodo dopo che Manca lo avrebbe operato, quindi che l’urologo si sarebbe limitato a visitare il padrino corleonese. Aiello, riferisce Lo Giudice, “mi narrò di un omicidio avvenuto in Sicilia prima ancora che venisse arrestato Provenzano… l’ucciso era un urologo che si era prestato di individuare una clinica all’estero per fare operare Provenzano”.
Lo uccise Aiello? “Sì, sì, che quando costui fu operato, per non lasciare tracce dietro a quell’operazione, contattò un avvocato di nome Pataffio (il suo riferimento potrebbe essere a Rosario Cattafi, ndr) e dove a sua volta gli diede l’incarico ad Aiello per liquidare l’urologo. Il dottore venne strangolato nel suo stesso studio a Barcellona Pozzo di Gotto per conto dell’avvocato e di Provenzano”. Il luogo della morte, però, è sbagliato. Manca fu trovato cadavere lontano dalla Sicilia.
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