Mancato arresto di Provenzano: | “Ecco le omissioni del Ros”

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21 Settembre 2011, 18:45

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Ci sono state “plurime omissioni” da parte dei vertici del Ros dei carabinieri sulle indagini mirate alla cattura di Bernardo Provenzano nel biennio ’95-’96. Omissioni “finalizzate a salvaguardare lo stato di latitanza di Bernardo Provenzano”. Non si tratta del capo di imputazione ascritto all’ex generale e l’ex colonnello del Ros, Mario Mori e Mauro Obinu – sotto processo a Palermo per favoreggiamento aggravato – ma del contenuto di un sentenza emessa dal gip Maria Pino che archivia l’accusa di calunnia nei confronti di Michele Riccio, già colonnello dei carabinieri. E’ la prima volta – a distanza di quasi 16 anni – che una sentenza si esprime su una vicenda ancora oscura e che riguarda il fallito blitz di Mezzojuso del 31 ottobre 1995, quando si sarebbero potute mettere le manette ai polsi dell’allora superlatitante Bernardo Provenzano. Il pm titolare dell’inchiesta, Nino Di Matteo, ha già annunciato che la sentenza sarà depositata nel processo contro Mori e Obinu.

Antefatto
L’allora colonnello Michele Riccio, attraverso un infiltrato in Cosa nostra, Luigi Ilardo – nome in codice “Oriente” – era riuscito a fare arrestare diversi latitanti fino ad arrivare all’obiettivo numero uno, Bernardo Provenzano, che Ilardo incontra il 31 ottobre 1995 in un casolare a Mezzojuso. Ma non se ne fece niente. Era stato predisposto un servizio di pedinamento che non è stato attivato e, secondo il giudice, non c’erano elementi che rappresentavano rischi di contro-pedinamento che legittimassero il non intervento. Anche la circostanza ostativa che ci fosse un’auto parcheggiata nel bivio da cui, attraverso una trazzera, si giungeva al casolare di Provenzano, è superata dal fatto che anche quando questa se n’è andata non se n’è fatto nulla e il servizio di osservazione è finito alle 10.

L’attività del Ros
“L’individuazione dei casolari descritti da Ilardo e l’acquisizione di una ‘strisciata aerea’ hanno costituito fino al 23 maggio 1996 gli unici atti d’indagine compiuti sul territorio dai militari del Ros” scrive il giudice nella sentenza. Atti d’indagine, aggiunge: “Assolutamente incongrui rispetto al primario obiettivo dell’arresto del latitante Provenzano”. Sulle eccezioni che avrebbero indotto gli ufficiali del Ros a non intervenire – né lo stesso 31 ottobre 1995 né nei giorni seguenti – il giudice risponde che: “Gli accertamenti tecnici in esame inducono ad affermate che era possibile predisporre e realizzare servizi dinamici e mirate attività di osservazione a distanza di sicurezza in relazione all’ambito territoriale ed ai casolari individuati nella immediatezza del noto incontro”.

Rapporti con la procura
A queste considerazioni si aggiunge che, in corrispondenza del transito di Michele Riccio dalla Dia al Ros dei carabinieri, è avvenuta un’interruzione dei flussi di comunicazione con la procura di Palermo. “Alla continuità e compiutezza di informazione garantite dalla Dia – scrive il gip – si è contrapposto il silenzio lungamente serbato dal Ros sia in ordine all’imminenza di un probabile incontro con il Provenzano sia in ordine all’effettiva realizzazione dell’incontro sia in ordine al novero degli importanti elementi acquisiti dalla fonte”. “Il patrimonio di informazioni acquisito dai carabinieri del Ros sin dal 31 ottobre 1995 – continua il gip – non fu oggetto di adeguato e tempestivo sviluppo d’iniziativa e non venne rassegnato alla procura della Repubblica di Palermo se non in data 31 luglio 1996, data di deposito dell’informativa originata dalle dichiarazioni di Ilardo Luigi e denominata ‘Grande Oriente’”.

“Deliberata strategia di inerzia”
“E’ convincimento di questo giudice – si legge nella sentenza – che la condotta assunta e perpetuata dal gen. Mori e dal col. Obinu non sia da ascrivere a difficoltà tecniche od organizzative né ad errori di valutazione. Non vi sono elementi che inducano a ciò”. Piuttosto questa condotta sarebbe “una deliberata strategia di inerzia”. “Il silenzio del Ros – conclude il gip – non può ritenersi casuale, né frutto di inefficienza o di carenze organizzative. Converge e pienamente si salda, piuttosto, con la condotta di inerzia investigativa accertata ed ascrivibile ai vertici del Ros”. La stessa condotta che portato al processo.

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21 Settembre 2011, 18:45

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