04 Maggio 2016, 07:00
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PALERMO – Quando nel dicembre di due anni fa ammazzarono i suoi cani Pino Maniaci avrebbe “sfruttato” il macabro episodio bollandolo come un’intimidazione mafiosa. Era convinto che gli dessero la scorta. Ed invece sapeva che la mafia non c’entrava. Era una faccenda personale, legata a storie sentimentali, c’era di mezzo una donna. O meglio, la reazione furente del marito. Il giornalista di Telejato avrebbe colto la palla al balzo, così dicono gli inquirenti, per puntellare la sua immagine di giornalista contro. Contro la mafia, contro il potere, contro il sistema. Un’immagine che verrebbe demolita dall’indagine che stamani porta in carcere persone per mafia. Tra i primi a chiamarlo, quel giorno di dicembre, per esprimergli solidarietà fu il presidente del Consiglio. “Sono tutti in fibrillazione … – diceva Maniaci – mi ha chiamato quello stronzo di Renzi”. Il giornalista diceva di essere di diventato “una potenza”.
Mentre indagavano suoi presunti boss della cosca di Borgetto, nel Palermitano, i carabinieri del Comando provinciale e del Gruppo di Monreale si sono imbattuti nel direttore dell’emittente televisiva che oggi viene raggiunto da una misura cautelare. Deve allontanarsi da Partinico, dove ha sede la piccola televisione privata. I carabinieri gli hanno notificato un divieto di dimora nelle province di Palermo e Trapani. È accusato di estorsione “per aver ricevuto somme di denaro e agevolazioni dai sindaci di Partinico e Borgetto onde evitare commenti critici sull’operato delle amministrazioni”. Poche centinaia di euro – 100, 150 – “strappati”, così sostiene l’accusa, con la minaccia. Ma anche un contratto di solidarietà al Comune per la donna. Il sindaco di Partinico, Salvatore Lo Biundo, ha ammesso che alla scadenza di tre mesi il contratto non poteva essere rinnovato e addirittura lui e i suoi assessori si tassarono. Perché? Perché temevano gli attacchi di Maniaci. Al telefono il direttore di Telejato diceva “qui si fa come dico io… se no se ne vanno a casa”. Era pronto a “sputtanare” tutti in televisione. E “tutti e dico tutti si cacano”. Erano soprattutto i primi cittadini a temerlo. E Maniaci ne era consapevole: “… il sindaco mi vuole parlare… se non si mette le corna a posto lo mando a casa… a Natale non ti ci faccio arrivare”.
Maniaci, quando nei gironi scorsi trapelò la notizia che era finito sotto inchiesta, replicò a muso duro, parando di “vendetta, un agguato per il lavoro che abbiamo fatto e che facciamo ancora oggi contro il malaffare e l’illegalità anche all’interno della magistratura come nel caso dell’inchiesta sulla gestione dei beni confiscati alla mafia dove a capo di tutto c’era l’ex presidente della sezione misure di prevenzione Silvana Saguto”.
Ora si scopre che l’indagine principale è iniziata nel 2012 e Maniaci c’è finito dentro nel 2014. Dunque prima che esplodesse lo scandalo sulla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. All’inchiesta hanno lavorato i carabinieri e sei magistrati: il procuratore Francesco Lo Voi, l’aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Francesco Del Bene, Amelia Luise, Annamaria Picozzi e Roberto Tartaglia.
Vengono fotografati i nuovi assetti della mafia di Borgetto. L’11 febbraio del 2013 era stato scarcerato per fine pena Nicolò Salto, storico esponente del clan che si contrapponeva ai Nania-Giambrone. Una contrapposizione che aveva già condotto all’omicidio di Antonino cl. 71. Nell’aprile del 2013 un altro Antonino Giambrone finì in cella nell’operazione “Nuovo Mandamento”. Poco dopo, in un incontro nel corso principale del paese le telecamere riprendono un incontro fra Salvo e il padre di Giambrone: suo figlio non sarebbe stato abbandonato. Basta guerra e piombo, anche Salto era sopravvissuto a un agguato, viene siglata una pax mafiosa. Si riparte con il pizzo e il controllo dei lavori pubblici.
La figura di Maniaci è venuta fuori casualmente mentre venivano monitorati gli altri indagati. E così la sua voce è rimasta impressa nei nastri magnetici. Le sue frasi, dicono gli investigatori, fanno a pugni con l’immagine di giornalista di frontiera, libero e a testa bassa contro il sistema. Protetto dallo Stato per le intimidazioni subite, raggiunto da decine e decine di querele per diffamazione frutto dei suoi articoli, premiato con riconoscimenti prestigiosi, nazionali e internazionali, Maniaci si è ritagliato un posto di rilievo nel panorama dell’antimafia militante, quella dura e pura. Pochi mesi fa l’organizzazione internazionale Reporter senza frontiere lo ha inserito fra i 100 eroi dell’informazione mondiale. Ora su di lui si abbatte l’inchiesta della Procura. Nel fascicolo raccolto dai pm ci sono le parole dei due sindaci chiamati a confermare quanto sarebbe emerso dalle indagini. E poi ci sono le intercettazioni che farebbero a pugni con l’immagine di paladino della legalità. Un’immagine che neppure la notizia pubblicata nei giorni scorsi ha scalfito più di tanto. In molti hanno giurato sulla sua correttezza, pronti a metterci la mano sul fuoco.
*Aggiornamento ore 12.00
Si definiva una “potenza”, sosteneva di essere in grado di “mandare a casa” chi non faceva come voleva lui, e irrideva le solidarietà ricevute per presunte intimidazioni mafiose, anche quella del premier Renzi che gli aveva telefonato per manifestargli vicinanza: c’è tutto questo nelle intercettazioni effettuate dai carabinieri a carico di Pino Maniaci, direttore di TeleJato, diventato simbolo del giornalismo antimafia, ora indagato per estorsione. La procura di Palermo ha chiesto e ottenuto dal gip la misura del divieto di dimore nelle province di Palermo e trapani. Maniaci incappa nelle maglie della giustizia per caso: i militari dell’Arma indagavano sui clan di Partinico e sui rapporti tra mafia e politica locale. Da una intercettazione ambientale, a carico di un sindaco, in diretta viene fuori la consegna di una somma di denaro al giornalista. Circostanza che insospettisce gli investigatori che decidono di metterlo sotto controllo. E così che scoprono che Maniaci in cambio di piccole somme – 200-300 euro – assicurava ai sindaci di non trasmettere quelli che definiva scoop che avrebbero potuto danneggiarli. Oltre al denaro avrebbe anche chiesto un contratto a termine per l’amante al comune di Partinico. E il sindaco di allora, Salvatore Lo Biundo avrebbe accondisceso “se non si fanno le cose che dico – diceva Maniaci non sapendo di essere intercettato – lo mando a casa”.
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04 Maggio 2016, 07:00