26 Gennaio 2011, 08:13
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Oggi, in attesa della cronaca, dedichiamo la copertina al cronista palermitano Mario Francese, assassinato dalla mafia il 26 gennaio del 1979, morto per un niente che per i migliori di noi è tutto. E’ tutto per i coraggiosi giornalisti che hanno meditato e digerito la sua lezione: andare in giro fino alla consunzione delle scarpe a caccia dei fatti. E’ dolorosamente niente per una categoria vinta, in maggioranza larga composta da persone oneste che amano il loro mestiere. Purtroppo, certi comandanti in capo, certe primedonne dell’informazione e certi editori la disonorano quotidianamente.
Il ricordo di Mario, il pregio della sua penna sincera, la polvere sotto la suola delle scarpe, sono niente per troppi. Niente per quei giornalisti che non cercano più i fatti, come capitava a lui, ma partono da una tesi precostituita politicamente e sopra quella tessono il canovaccio di un pezzo già immaginato. E’ niente per una stirpe di editori che, in fondo, disprezza il lavoro dei giornalisti coscienziosi, che li considera nemici, quando portano una notizia scomoda, che li guarda con sospetto, come se fossero una controparte. E’ niente per la vergogna di un precariato eterno che avvilisce vecchi e giovani. E’ niente per l’editore rapace che intende regnare sovrano in redazione, non imponendo una linea, ma dettando legge. E’ niente per una categoria slabbrata, divisa, incerta, preda facile per il primo che passa.
Eppure oggi, si celebrerà in pompa magna Mario Francese. Il cronista eroe che viene esaltato nelle scuole di giornalismo, evitando di dire la verità ai cronisti in erba: una volta abbandonati i banchi troveranno un mondo professionale infinitamente più sporco e più avvilito. Un universo in cui i “Mario Francese” contemporanei sono spesso trattati come reietti, come appestati, per usare una felice espressione in voga, come “rompicoglioni”. Il cronista che si sforza di narrare i fatti non è amato dal suo padrone, se la narrazione non coincide con gli interessi della sua tasca. E’ questo che intendono dire i Soloni, quando parlano della libera stampa in Italia: libera, cioè, perché ognuno viene da una visione precotta e la difende. E dovrebbero dire meglio che il pregiudizio è la morte della cronaca e che la libertà è lunga quanto la catena che le serra il collo.
Ma noi ricorderemo Mario Francese, con un pensiero affettuoso a suo figlio Giulio che – con la sua burbera pedagogia – è stato e resta un maestro professionale per tanti, compreso chi scrive. Noi terremo nel cuore la polvere delle scarpe di Mario. L’umanissima polvere che alza un vero giornalista, mentre cammina a testa alta. Solo e pensoso, col suo taccuino in mano.
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26 Gennaio 2011, 08:13