18 Giugno 2015, 06:15
3 min di lettura
PALERMO – Il carnefice era in realtà la vittima. Per stabilirlo, però, è stato necessario celebrare un lungo processo, disporre perizie e ascoltare una quindicina di testimoni. La deposizione decisiva per l’assoluzione di L.S., 46 anni, è arrivata da chi meno te lo aspetti: l’ex marito della donna con cui, una volta naufragato il suo matrimonio, l’imputato aveva iniziato una relazione.
È la storia di un matrimonio finito quella ripercorsa davanti al Tribunale presieduto da Bruno Fasciana. Sotto processo c’era un impiegato accusato di maltrattamenti durante il matrimonio e di stalking a separazione avvenuta. L’ex moglie si era fatta refertare al pronto soccorso, raccontando di fantomatiche botte subite. Poi, aveva rincarato la dose parlando di centinaia di messaggi ricevuti ogni giorno da un marito che non si rassegnava alla fine della relazione.
Nel corso del processo, però, è venuta a galla la verità grazie, innanzitutto, alla lungimiranza dell’imputato. Aveva colto degli strani segnali nel comportamento della donna (si era costituita parte civile al processo e chiedeva un risarcimento danni) e si era messo sulla difensiva. Come?, registrando una serie di conversazioni e memorizzando quasi tremila sms partiti, sempre e solo, dal telefono della donna. Un numero impressionante e patologico rispetto ai cento messaggi in uscita dal telefono dell’ex marito e giustificati, a suo dire, dall’esigenza di avere notizie e concordare come e quando vedere i figli. La donna ha prima manifestato una morbosa gelosia (era certa che il marito la tradisse), poi è passata alle minacce (si diceva pronta a denunciare l’uomo qualora non avesse ammesso la sua relazione extraconiugale) e infine alle ritorsioni (era disposta a rovinargli la vita se non fossero tornati insieme).
Sul banco dei testimoni è salito pure l’ex compagno della donna con cui l’imputato, una volta andato in frantumi il matrimonio, aveva iniziato a frequentarsi. Eppure, nonostante, il testimone potesse nutrire motivi di risentimento non ha avuto esitazione a dire che la parte civile aveva cercato di istigarlo contro il marito, tracciando la figura duna una persona per nulla serena.
Ci sarebbero tutti gli indizi, così ha sostenuto nell’arringa difensiva l’avvocato Toni Palazzotto, per catalogare il caso alla voce “false victimitazion syndrome”. Il legale, che assisteva l’imputato assieme all’avvocato Giovanni Apolloni, ha puntato sulla “sindrome da falsa vittimizzazione” di cui si parla nella letteratura scientifica americana. “Ma chi è la falsa vittima di stalking? – ha spiegato il difensore – È semplicemente un individuo che ad ogni costo cerca di convincere gli altri che è stato oggetto di stalking attraverso l’invenzione di fatti ed accadimenti per ristabilire un rapporto fallito e ottenere attenzione. A volte uno stalker si sentirà ‘vittimizzato’ dalla persona a cui lui o lei sta facendo stalking. Gli individui che presentano queste caratteristiche – ha concluso – possono anche presentare disturbi di personalità. Egli darà il via a conflitti e malintesi, per poi cercare di rigirarli a suo favore nel tentativo di attirare attenzione positiva per se stesso. Vuole, in poche parole, essere come la sua vittima e quando sente che non ne è all’altezza il suo scopo diventa quello di danneggiare la sua vittima anche attraverso false denunce”.
Si dovranno attendere le motivazioni dell’assoluzione per capire se il tema scientifico abbia fatto breccia nel giudice oltre alle prove documentali e testimoniali raccolti durante il processo.
Pubblicato il
18 Giugno 2015, 06:15