23 Aprile 2014, 16:11
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CATANIA – Sei mesi di reclusione, pena sospesa, è la condanna inflitta dal Giudice del Tribunale di Catania, Giuseppina Montuori, per l’anestesista Silvio Budello e l’infermiere Carlo Terrano accusati del reato di lesioni gravissime. I due hanno affrontato il processo sul caso di Giuseppe Marletta, l’architettto catanese in coma vegetativo dal dal 2010 a seguito di un intervento chirurgico al Garibaldi che prevedeva la rimozione di due punti di sutura alla mascella. Una sentenza di condanna per i due sanitari, che come si legge nel dispositivo dovranno “risarcire le parti civili costituite, Irene Sampognaro e i due figli, Edoardo e Eleonora Marletta. Risarcimento da liquidarsi in separata sede dinanzi al giudice civile competente. Carlo Terrano e Silvio Budello, in solido tra loro, dovranno pagare una provvisionale pari a 80 mila euro a favore di ciascuna parte civile”.
L’udienza di oggi si è aperta con la requisitoria del pm Romano che aveva chiesto al Tribunale una condanna a un anno e otto mesi per i due imputati. Subito dopo gli avvocati di parte civile, Mario Brancato e Mirella Catania, che avevano chiesto una provvisionale di 500 mila euro. Infine si sono svolte le arringhe difensive, da parte dei due legali, concluse con la richiesta di assoluzione per i loro assistiti con la formula “per non aver commesso il fatto”.
“Si tratta di una sentenza prevedibile – commenta a LiveSiciliaCatania la moglie di Marletta, Irene Sampognaro – il giudice ha applicato quanto prevede la legge. L’accusa era di lesioni gravissime e il codice non prevede per questo tipo di reato pene severe. Se la sono cavata con sei mesi, e mentre loro non si faranno neanche un giorno di galera, mio marito Giuseppe è stato condannato all’ergastolo della sofferenza. La condanna, comunque, rappresenta un riconoscimento da parte della giustizia. Sicuramente, però, nessuna sentenza o risarcimento economico – conclude – potranno ridarmi la vita che avevo prima del primo giugno del 2010″.
Si chiude così, dopo quattro anni di calvario, il primo step del procedimento giudiziario. Ora si dovranno attendere le motivazioni che saranno depositate entro novanta giorni dal Giudice Montuori. A quel punto si capirà se questa sentenza sarà definitiva oppure se i due difensori, gli avvocati Antonio Fiumefreddo e Enzo Guarnera, in accordo con i due imputati, decideranno di ricorrere in appello.
Per la Procura (l’indagine fu avviata da Lucio Setola, ormai trasferito in un altro ufficio giudiziario) i due sanitari non avrebbero vigilato il paziente durante la fase del risveglio e non si sarebbero accorti dell’arresto respiratorio e in conseguenza dell’arresto cardio-circolatorio. Budello e Terrano, durante gli interrogatori del processo, hanno sempre ribadito di aver “rispettato tutte le procedure del caso”.
Il processo durato quasi due anni, anche attraverso l’audizione dei diversi testimoni, ha portato ad una conferma: Marletta nella fase post operatoria, almeno per alcuni minuti, è rimasto senza assistenza. L’anestesista si sarebbe allontanato per svolgere altre mansioni, mentre l’infermiere sarebbe andato a prepararsi per un intervento successivo.
In via Crispi è stata raccontata una drammatica vicenda umana e familiare, con una moglie e due figli che all’improvviso si sono trovati vedova e orfani senza però una bara su cui piangere, ma un marito e un padre costretto a letto. Circa due anni fa, da queste pagine, Irene Sampognaro chiedeva di avere accesso alle “cure del metodo Stamina, oppure sarebbe stato meglio avviare la strada dell’eutanasia”.
E con questa tragedia sono state sollevate diverse questioni: il problema delle cure compassionevoli, l’inchiesta sul metodo Vannoni, e poi le “carenze” del nosocomio catanese. Nel corso del processo il legale della moglie di Marletta, Mario Brancato disse che la vicenda giudiziaria aveva portato alla luce “l’assoluto degrado dell’azienda ospedaliera Garibaldi, che presenta gravi carenze- aveva dichiarato a LiveSiciliaCatania – come la mancanza di spazi idonei alla fase post operatoria”. Ora la speranza è che quanto denunciato non resti nelle stenotipie delle varie udienze e non finisca in un cassetto, dimenticato, del Palazzo di Giustizia di Catania.
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23 Aprile 2014, 16:11