10 Marzo 2019, 13:43
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PALERMO – Sembra la scena un film de “Il Padrino” ed invece è la storia di uomo “graziato” dal nuovo capomafia di Agrigento. Giovanni Terrana, originario di Porto Empedocle, era pronto a tutto pur di lavare l’onta dello sgarbo subito. Anche ad ammazzare colui che aveva bruciato il suo motorino.
Gli investigatori della Dia ricostruiscono l’episodio che fa parte dell’inchiesta della Procura di Palermo che nei giorni scorsi ha portato all’arresto di trentadue persone. Terrana nel 2015 fu accompagnato in una casa rurale di contrada Zunica-Monserrato, ad Agrigento. Ad attenderlo c’era Antonio Massimino, accusa di essere il nuovo boss. Alessio Di Nolfo, pure lui arrestato nei giorni scorsi, faceva da filtro. Non era stato possibile piazzare microspie dentro il casolare. La macchina su cui si muovevano i protagonisti della vicenda, però, era imbottita di cimici grazie alle quali è stata ricostruita la vicenda.
L’autore dello sgarbo era stato Giuseppe Angarusso, un piccolo pregiudicato di Porto Empedocle. Terrana riportava a Di Nolfo le frasi che Massimino gli aveva detto di riferire ad Angarusso: “…per questa volta sei rimasto vivo, gli dici così… vedi che sei stato graziato…”.
La scelta di Terrana di rivolgersi al capomafia era stata apprezzata: “…ma quello però hai visto che ha fatto come un signore: è arrivato, ed è venuto a chiedere il permesso, perché non può fare che prende ad uno e gli spara…”.
È la conferma, secondo gli investigatori, dell’autorità di Massimino. Un’autorità che si era manifestata qualche giorno prima quando “questi della Marina, undici fratelli… questi grossi si sono messi in ginocchio, si sono messi a piangere…”. Gli undici fratelli di Palma di Montechiaro a cui Di Nolfo faceva riferimento sarebbero i membri di un gruppo di stiddari.
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10 Marzo 2019, 13:43