05 Gennaio 2018, 10:40
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PALERMO – La Procura di Palermo riapre l’inchiesta sull’omicidio del presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella, fratello del Capo dello Stato, Sergio. A trentotto anni dal delitto si riparte, ancora una volta, ancora una volta dai Nar, i Nuclei armati rivoluzionari. Il terrorista nero Giusva Fioravanti fu processato e assolto dall’accusa di essere stato il killer del presidente assassinato il giorno dell’Epifania del 1980.
Un lavoro difficile quello dei pm guidati dal procuratore Francesco Lo Voi, reso ancora più complicato dal trascorrere del tempo. Uno dei reperti del processo celebrato a Palermo, la targa di un’auto del commando, sarebbe stata divisa in due dagli autori del furto. Una parte fu ritrovata in un covo dell’organizzazione neofascista. Sulla convergenza di interessi fra Cosa nostra e terroristi si è già indagato in altre circostanze senza mai giungere ad elementi concreti.
Per il delitto la Cupola della mafia è stata condannata all’ergastolo. Chi sparò a Mattarella davanti all’abitazione di via Libertà? Fioravanti fu riconosciuto dalla moglie del presidente, Irma Chiazzese, che si trovava in auto al momento dell’agguato assieme ai figli Bernardo e Maria.
La Dda di Palermo ha avviato nuovi accertamenti che riprendono la pista ‘nera’ già seguita da Giovanni Falcone e che portò a giudizio Fioravanti. Il killer sparò con una pistola e poi fuggì, salendo su una Fiat 127 dove l’aspettava un complice, anche lui rimasto senza nome. La pista neofascista, a partire dal ritrovamento nel 1982 di spezzoni di targhe in un covo dell’estrema destra a Torino, fu ipotizzata già nel 1989 dal giudice Loris D’Ambrosio in un report finito adesso alla Procura generale di Bologna che ha avocato a sè l’inchiesta sulla strage della stazione del due agosto 1980.
Nel 1982 – due anni e dieci mesi dopo l’omicidio di Mattarella – nel covo ‘nero’ di Torino. In un appartamento di via Monte Asolone, i carabinieri trovarono due targhe tagliate. Un primo spezzone aveva la sigla “PA” (come Palermo) e il secondo “PA 563091”. Sono gli stessi numeri, ma composti diversamente, rimasti agli assassini di Piersanti Mattarella, che avevano utilizzato due targhe rubate per camuffare la Fiat 127 del delitto. Era come se l’ultimo numero, il 6, fosse stato spostato di posizione e inserito subito dopo il 5 iniziale.
La Procura generale di Bologna, che da fine ottobre ha avocato a sé l’inchiesta sui mandanti della strage del 2 agosto 1980, è in contatto con la Procura di Palermo, dove la Dda da tempo indaga sull’omicidio di Piersanti Mattarella. E’ quanto si limitano a confermare ambienti della stessa Procura generale, dove però si mantiene uno stretto riserbo e non si aggiunge nulla sugli approfondimenti in corso che potrebbero collegare l’attentato e il delitto. L’ufficio bolognese guidato dal procuratore Ignazio De Francisci, magistrato siciliano che fu nel pool di Falcone e Borsellino, ha riaperto l’inchiesta sui mandanti della strage, assumendo su di sé il fascicolo, sollecitato dall’associazione dei familiari delle vittime, inviato verso l’archiviazione dalla Procura ordinaria e rimasto sempre contro ignoti.
“Ci è parso che forse ci possa essere ancora qualche spunto investigativo da approfondire, per il rispetto che si deve ai familiari delle vittime e alla città di Bologna”, aveva spiegato l’avvocato generale Alberto Candi, ‘numero due’ della Procura generale, presentandosi in udienza davanti al Gip, che ha assegnato due anni per le nuove indagini.
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05 Gennaio 2018, 10:40