23 Marzo 2019, 18:46
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Sovente alle critiche nei confronti del governo Salvini-Di Maio, in particolare sui continui contrasti tra i due vicepremier, in parecchi rispondono: “sì ma il Pd…, sì ma Prodi…, sì ma Berlusconi…, sì ma Renzi…”. Oppure: “non siamo ipocriti, tutti i governi hanno sofferto di tensioni interne”. Negli ultimi tempi si è aggiunta la polemica sulla flat-tax per i dipendenti sponsorizzata da Salvini e guardata con sospetto da Di Maio (“non facciamo promesse alla Berlusconi”). Al contrario, il duello sulla cosiddetta “Via della seta”, in cui l’Italia potrebbe avere interessi soprattutto sul versante marittimo e su settori strategici (telecomunicazioni e infrastrutture), vede i due leader con posizioni ribaltate.
La domanda è: il premier Giuseppe Conte che fa? Sulla Tav per esempio, al di là delle legittime opinioni di ciascuno sull’opportunità dell’opera, si sono consumate delle furbizie da azzeccagarbugli inventate proprio da lui per prendere tempo, nel tentativo di uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciati Salvini e Di Maio, molto pericolose. Perché tra le furbate e il mentire agli italiani il confine è sottilissimo. A parte la credibilità del nostro paese ormai pari a zero con il tira e molla infinito e il disconoscimento di impegni internazionali assunti nel passato.
Un altro vicolo cieco è l’ennesimo “corpo a corpo” tra Salvini e le Ong che salvano migranti in mare, ma accusate da Salvini addirittura di favorire il traffico di essere umani e l’immigrazione clandestina, a cui si vorrebbe impedire financo l’ingresso nelle acque territoriali. Povero Conte, davvero complicato il suo mestiere e per più di una ragione. In epoca precedente alla caduta del Muro di Berlino gli esecutivi avevano ovviamente delle tensioni interne però difficilmente sul programma per il netto carattere ideologico dei fronti contrapposti mentre la figura del presidente del Consiglio svolgeva una effettiva funzione mediatrice. Il premier normalmente era un deputato o un senatore eletto, con spiccata autorevolezza dentro il partito e capo di una componente o corrente di esso quando non ne era il segretario (penso ai democristiani Andreotti, Fanfani, Moro, Forlani, ecc.. oppure ai laici Spadolini e Craxi) e l’avvicendarsi dei governi era dovuto a rimaneggiamenti di potere nella DC e tra la DC e le forze politiche tradizionalmente alleate dello scudo crociato (Pri, Pli, Psi, Psdi).
Dopo la caduta del Muro, al netto dei governi cosiddetti “tecnici”, Berlusconi, Prodi e infine Renzi hanno ricevuto una legittimazione popolare a seguito di primarie largamente partecipate o di un enorme consenso elettorale personale. Giuseppe Conte invece è solo il notaio di un contratto stilato senza un’alleanza, non imprime alcun indirizzo (una palese violazione costituzionale), non ha un potere di mediazione in assenza di autonomia, non è mai stato eletto a una carica istituzionale, non ha un partito o ruoli di partito, non ha parlamentari pronti a seguirlo al momento di schiacciare il bottone in aula.
Si potrebbe osservare che tale condizione paradossalmente lo rafforzerebbe, forse, ma la maggioranza è saldamente in mano a Salvini e Di Maio. Se i due leader non riescono a sanare insieme le innumerevoli divergenze nessuno può pensare di sostituirli e ciò, attenzione, è corretto, in democrazia contano i voti. Sulla Tav non c’è un problema sul “come” ma sul “se”, quindi un rebus irrisolvibile se uno dei due azionisti di maggioranza non molla, eventualità da escludere specialmente in piena campagna elettorale. Scintille ci saranno, possiamo scommetterci, sulla sopra citata flax-tax per i dipendenti che secondo il Mef costerebbe quasi 60 miliardi, una cifra “strampalata” dice Salvini.
Sul resto questo governo appare culturalmente contraddittorio, manchevole sul diritto di uguaglianza, ambiguo sui diritti civili e delle donne, privo di una visione sul futuro dell’Italia e dell’Europa puntando a cavalcare sovranismo, populismo, paure e istinti, inaffidabile nei rapporti internazionali. Adesso ci mettiamo a giocare dopo la Russia pure con la Cina su questioni di enorme rilevanza legate al 5G – la rete super-veloce che rivoluzionerà i mercati e i servizi di intelligence di mezzo mondo per i risvolti sulla sicurezza dei dati e delle connessioni – entrambe le potenze con interessi geo-politici, economici e militari ben distanti dai nostri (con cui, ben inteso, occorre dialogare e dove conveniente instaurare intese commerciali) a danno della compattezza europea già precaria e dei rapporti atlantici con gli USA.
Un governo disinvolto sul piano economico e finanziario (lo vedremo con l’imminente documento di economia e finanza, il Def, la quasi certa manovra correttiva in autunno e il probabile aumento, almeno settoriale, dell’Iva: il risultato di voler azzardare con quota 100 e reddito di cittadinanza aumentando deficit e debito in fase di recessione) e ostaggio delle ambizioni elettorali. Ieri non stavamo meglio? Purtroppo si può sempre stare peggio e non è una buona ragione per rinunciare a valutare con il necessario distacco i fatti e i potenti di oggi.
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23 Marzo 2019, 18:46