Lusso, fede, donne: Matteo Messina Denaro, un boss atipico

Lusso, fede, donne: Matteo Messina Denaro, un boss atipico

Le nette differenze con i vecchi padrini corleonesi

PALERMO – Ciò che finora si è scoperto della latitanza di Matteo Messina Denaro rimarca le differenze con altri capimafia corleonesi.

Si prenda, ad esempio, la figura di Totò Riina. Fra il capo dei capi e Messina Denaro, che da Riina fu cresciuto sotto il profilo criminale e che di Riina fu soldato, il contrasto è netto. E non solo per una questione anagrafica.

“Le vie del Signore sono infinite”, disse Totò u curtu nel corso di un processo in Corte di Assise a Palermo. Aveva finito di descriversi “tutto famiglia, lavoro e chiesa”, di negare di essere un mafioso, di considerarsi colpito da un “destino malvagio”.

Il suo tono era minaccioso. Nulla a che vedere con Messina Denaro che nega, pure lui, ogni accusa, ma parla in maniera garbata con i magistrati che lo hanno interrogato. Cortese, disponibile, ma comunque ambiguo.

Il capomafia di Castelvetrano accetta di rispondere alle domande del procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dell’aggiunto Paolo Guido e a quelle del gip Alfredo Montalto. Nessuna parola fuori posto, nessun segno di sfida. I toni restano sempre pacati.

Nelle lettere inviate all’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, sulla cui autenticità si è pronunciata una recente perizia, Messina Denaro descriveva il suo rapporto con la religione: “Ci fu un tempo in cui avevo la fede, poi ad un tratto mi resi conto che qualcosa dentro di me si era rotta, mi resi conto di aver smarrito la mia fede, ma non ho fatto nulla per ritrovarla. In fondo ci vivo bene così. Mi sono convinto che dopo la vita c’ è il nulla e sto vivendo per come il fato mi ha destinato”.

Un capomafia ateo, dunque. Anche in questo caso è netta la differenza con il passato. Un altro vecchio padrino corleonese, Bernardo Provenzano, aveva sempre con sé una bibbia, divenuta persino codice per i pizzini. I richiami a Dio erano continui. Provenzano e altri boss hanno coltivato una fede impossibile fra santini, madonne, crocifissi e altarini.

Nette sono le differenze nella padronanza linguistica e, soprattutto, nello stile di vita. Messina Denaro non se ne stava rintanato. Dai grandi viaggi all’estero ai pranzi a casa di amici. E poi i Rolex al polso e gli abiti firmati. Altro che la cicoria di Provenzano. I soldi non gli mancavano, interessato com’è stato ai suoi affari. Egoista per certi versi tanto da essersi attirato qualche anno fa l’ira dello stesso Riina. “I pali eolici se li infili…”, diceva riferendosi a uno dei tanti affari attribuiti al boss di Castelvetrano.

Infine le donne, che segnano il punto più lontano della sua vita dai canoni dell’ortodossia mafiosa. Messina Denaro ha avuto più compagne e una figlia fuori dal matrimonio. Ha avuto amanti e coltivato amicizie speciali, come quella con la figlia e moglie di due ergastolani. Più che una deroga rispetto al codice mafioso.

Un codice che non esiste più. Spazzato via dal lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine. E se esiste, non vale per Messina Denaro che una cosa ha in comune con i boss delle vecchia guardia: non mostra rimorso per il dolore che ha provocato, per la gente che ha ammazzato. Non c’è codice che li possa salvare dal disonore.


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