05 Agosto 2015, 06:00
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PALERMO – L’ultima pista che segue il denaro conduce in Svizzera. Il paese dei grandi intrecci finanziari mancava all’appello dei possibili e plausibili rifugi di Matteo Messina Denaro. Dopo ventitré anni di latitanza si può essere nascosti dappertutto. Impresa ardua per gli investigatori orientarsi nella caccia all’uomo fra ipotesi investigative serie e improbabili supposizioni.
L’ultima indagine, questa sì indiscutibilmente di valore, ha sgominato la rete di comunicazione del capomafia trapanese. Che sarà pure un giramondo, ma le cui tracce lasciano il segno con i pizzini nel triangolo fra Castelvetrano, Mazara del Vallo e Salemi. Praticamente a casa sua. Un po’ come Bernardo Provenzano che, alla fine, fu scovato ad un tiro di schioppo dalla sua amata Corleone.
Era nelle campagne trapanesi che Vito Gondola aveva organizzato la stazione di posta di Messina Denaro. Il procuratore aggiunto Teresa Principato, che coordina il super-gruppo composto da carabinieri e poliziotti che danno la caccia al latitante – per l’occasione chiamati a lavorare spalla a spalla – lo descrive come “uno che si muove parecchio”, fuori dalla Sicilia e all’estero. Che ogni tanto, però, tre o quattro volte all’anno, sente la necessità di comunicare con la terra natia. Fino a qualche anno fa lo faceva servendosi anche dei parenti stretti. Poi, sono stati tutti arrestati ed avrebbe organizzato la nuota rete di comunicazione affidandosi a boss vecchio stampo come Gondola, capomafia di Mazara del Vallo, e Michele Gucciardi, di Salemi. Manca sempre all’appello l’anello terminale della catena, l’unico e solo con cui Messina Denaro si interfaccerebbe. “Quello a cui consegnare tutto”, diceva Gondola. E qui il ventaglio delle ipotesi si estende all’infinito. Potrebbe essere chiunque, persino un sacerdote come qualche voce sussurra. Di certo si tratta di qualcuno che finora è stato impossibile individuare, pur braccando i suoi favoreggiatori.
Altro punto di domanda: come avvengono i contatti fra Messina Denaro e l’uomo misterioso? Qualche tempo fa si era sparsa la voce che Giuseppe Grigoli, il braccio economico di Matteo Messina Denaro, l’uomo del business della grande distribuzione targata Cosa nostra, avesse iniziato a parlare con i magistrati. E Vincenzo Panicola aveva incaricato la moglie Patrizia, sorella del latitante, di sondare il terreno, di capire quale contromisura prendere. In ballo, forse, c’era addirittura l’ipotesi estrema di eliminare Grigoli. Poi, arrivò il diktat di Matteo: “Non toccatelo, perché se parla può fare danno”. Dalle parole di Patrizia sembrava che la donna gli avesse parlato, chissà con quale diavoleria tecnologica o addirittura a quattr’occhi. Poi, arrivarono anche le dichiarazioni del cugino Lorenzo Cimarosa a smitizzare la figura del Messina Denaro tutto preso a trascorrere la sua latitanza dorata, fra bella vita e tante donne. Anche lui, come tutti i comuni mortali, aveva bisogno di soldi. Degli otto mila euro che Cimarosa consegnò al nipote del cuore di Matteo, Francesco Guttadauro, o quelli di cui parlavano Giovanni Santangelo, zio materno del latitante, e la sorella Rosa. “Gli servivano. Gli servivano… a Mattè”, dicevano gli anziani forse per consentire al padrino di Castelvertrano di lasciare il suo ultimo rifugio.
E qui le piste investigative serie si incrociano pericolosamente con le suggestioni, a volte pure ispirate dal desiderio di incassare un bel gruzzolo. C’è chi lo ha visto seduto al tavolo di un ristorante irlandese. Chi passeggiare in un boulevard francese. Chi in una strada inglese. Altri giurano di averlo riconosciuto tra i passanti di un’affollata via nel Nord Italia. Matteo Messina Denaro negli ultimi anni è stato avvistato in mezza Europa. La taglia dei servizi segreti che pesa sulla sua testa – siamo fermi al milione mezzo di euro di qualche anno fa – hanno fatto gola a tantissimi: e sono piovute decine di segnalazioni per lo più strampalate.
Strampalata non lo era la fonte confidenziale che raccontò all’Interpol gli spostamenti del latitante. Nel 2003 sarebbe andato a Caracas passando da Amsterdam, mentre altre volte, in passato, sarebbe transitato da Parigi e Bogotà. Gli investigatori che vagliarono le sue dichiarazioni arrivarono ad ipotizzare che Messina Denaro si fosse imbarcato sotto mentite spoglie su voli Klm fra il 1997 e il 2003. La fonte confidenziale entrava nei dettagli della vita del fantasma di Castelvetrano, accompagnato da una donna bellissima e non italiana, e avvistato al ristorante Villa Etrusca di Valencia, terza città del Venezuela, dove avrebbe parlato con alcuni boss del narcotraffico. La passione di Matteo Messina Denaro per i viaggi è entrata a far parte di parecchi atti giudiziari. Si è parlato di viaggi in Austria, Svizzera, Grecia, Spagna e Tunisia.
L’ultimo giallo, in ordine cronologico, sull’introvabile Messina Denaro passò dalle confessioni di un detenuto. Che disse di essere “in possesso della possibilità di fare prendere il più grosso pesce che mezzo mondo cerca”. Raccontò di avere diviso la cella con un sudamericano che gli avrebbe confidato di essere in contatto con Messina Denaro. Sapeva, ad esempio, che il latitante nel ’95 si trovava in Guatemala, dove si sarebbe sottoposto ad un’operazione per cambiare il tono della voce e le impronte digitali.
Gira e rigira, però, l’imprendibile capo della mafia trapanese, l’uomo delle stragi, il depositario dei segreti di Cosa nostra e forse pure dell’archivio segreto passatogli da Totò Riina ce lo ritroviamo sotto casa, nelle campagna fra Santa Ninfa, Castelvetrano e Salemi. Pronto a scrivere o a fare scrivere i suoi ordini per recapitarli ad un manipolo di boss che ricordano la mafia di cinquant’anni fa. Una mafia rurale con con cui persino il boss dei due mondi, il padrino che sa di mafia e mito, sarebbe costretto a dialogare.
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05 Agosto 2015, 06:00