20 Luglio 2023, 09:50
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PALERMO – Oltre settecento file, 768 per la precisione, suddivisi in 14 cartelle e decine di sottocartelle. Un tesoretto investigativo riservato su Matteo Messina Denaro che il maresciallo Luigi Pirollo avrebbe cercato di vendere con l’aiuto del consigliere comunale di Mazara del Vallo Giorgio Randazzo. Su questo ruota l’inchiesta coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dal sostituto Pierangelo Padova che ha portato all’arresto due due indagati.
Dopo la cattura del latitante è partita la caccia allo scoop da parte di Fabrizio Corona, il re dei paparazzi indagato per tentata ricettazione. Fu lui ad agganciare la donna con cui il padrino si scambiava messaggi audio via chat. Ed è in questo contesto che sono state accese le microspie che, il 2 maggio 2023, hanno captato il riferimento ad “uno scoop pazzesco” di cui era in possesso “un consigliere regionale di Castelvetrano” (in realtà è consigliere comunale a Mazara del Vallo). La fonte veniva indicata in alcuni carabinieri che volevano “vendersi il materiale”.
La “merce” è stata proposta a Moreno Pisto, direttore del quotidiano on line “Mow”. Randazzo e Corona lo hanno incontrato il 25 maggio. Pisto era molto sospettoso, registrò l’incontro e soprattutto con la scusa di visionare i file è riuscito a copiarli. Poi si è consultato con un amico giornalista, che lo ha messo in contatto un poliziotto della squadra mobile di Palermo. Da qui la scelta di raccontare la storia ai magistrati della Procura di Palermo.
I file contengono una miniera di informazioni. Alcune note all’autorità giudiziaria, altre non ancora trasmesse, tutte utili alle indagini sui favoreggiatori e sui segreti di Messina Denaro. Le cartelle denominate “NO NAME”, “MMD1”, “INTERVENTO Estrai” sono le più interessanti. Raggruppano verbali di sommarie informazioni dei vicini di casa del covo del padrino corleonese, in vicolo San Vito, il piano operativo delle perquisizioni eseguite nelle ore successive all’arresto del latitante in obiettivi sensibili (il piano era stato trasmesso dal comandante alla compagnia di Mazara del Vallo alle 12:37 del 16 gennaio via WhatsApp a tutti gli ufficiali di polizia giudiziaria incaricati di effettuare le perquisizioni e fra questi c’era Pirollo).
Ed ancora negli atti investigativi si parla di immagini di telecamere di videosorveglianza piazzate a Campobello di Mazara, della relazione di servizio sulle dichiarazioni di un ex collaboratore di giustizia. Ci sono le cartelle su possibili pedine della rete di protezione del capomafia segnalati da telefonate anonime e sulle donne frequentate dal capomafia durante la latitanza. In particolare le confidenze fatte da un ex amante a un carabiniere.
Nella versione del file trafugata dal militare, per un errore di trasmissione, non era indicato tra i posti da perquisire il covo di vicolo San Vito, di Campobello di Mazara, in cui il padrino ha trascorso l’ultimo periodo di latitanza, intestato al suo alter ego, il geometra Andrea Bonafede. Una circostanza usata dal carabiniere e dal suo presunto complice per imbastire un finto giallo con al centro il presunto disegno degli investigatori di ritardare la perquisizione ufficiale della casa e occultare materiale scottante. Ed ecco servito lo scoop da piazzare al migliore offerente. Il gip Montalto riporta il movente ipotetico individuato dalla Procura: “Alimentare teorie complottistiche” in modo da rendere “più appetibili” i documenti per i media.
“Una svista nel file di trasmissione ai comandi territoriali”, hanno spiegato alla Procura dal Ros che dopo l’arresto ha perquisito tutti gli immobili riconducibili a Bonafede. Alle operazioni assisteva peraltro l’alter ego del boss. Al covo di vicolo San Vito, che era stato fin dal principio inserito nell’elenco stilato dal Ros, gli investigatori arrivano nel pomeriggio, intorno alle 18:00, dopo aver ispezionato le altre proprietà. Fu lo stesso Bonafede, poi messo alle strette, a confermare che in quella casa aveva vissuto il latitante. la casa era piena di pizzini e documenti su cui ancora si lavora.
Ed ancora, nei file recuperati da Pirollo salta all’occhio anche un file pdf denominato “agenda”, con la scansione della rubrica dei contatti di Bonafede, trovata nella casa degli ex suoceri. La rubrica mai è stata allegata agli atti del procedimento. Dunque si tratta di informazioni riservate e sui quali i pubblici ministeri stanno ancora lavorando.
Non ci sono dubbi: i file sono stati scaricati dai server della compagnia dei carabinieri. Vi hanno fatto accesso con la propria password Pirollo e un altro militare, risultato totalmente estraneo all’inchiesta. Il giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto descrive Pirollo come “una personalità priva di scrupoli”. Parole dure anche nei confronti del politico che avrebbe cercato di “monetizzare l’illecito commesso anche a rischio di gettare ulteriore discredito sulla comunità” trapanese, già provata dalle indagini sulla rete di complicità del padrino.
C’è una domanda ancora senza risposta: ci sono altri file in circolazione? Ed ecco giustificata, secondo il gip, la necessità di applicare agli indagati la custodia cautelare agli arresti domiciliari.
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20 Luglio 2023, 09:50