31 Gennaio 2017, 18:42
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CATANIA .- Al Teatro Massimo Bellini si sente “a casa”, nonostante di palcoscenici prestigiosi Matteo Musumeci ne abbia già varcati parecchi. In Italia come all’estero. In passato come oggi. Quarant’anni appena suonati, è il caso proprio di dirlo, e una carriera tutta in salita per il compositore di “Diva Agatha”. Artista poliedrico, tra i suoi prossimi impegni pure la colonna sonora e le musiche, in collaborazione con Paolo Vivaldi, di un docufilm su Lampedusa: “La libertà non deve morire in mare”.
Hai da poco superato i temuti “anta”, ti è capitato di fare un bilancio dei tuoi primi 40anni?
“Devo confessarti una cosa: quel giorno sono entrato nel panico. Non so se si è trattato semplicemente di un fattore psicologico ma, arrivare a quell’età, un pò di impressione la fa. Sia perché sei consapevole di aver raggiunto una tappa della tua vita, sia perché sei pienamente convinto che ne sta per cominciare un’altra. Il bilancio è comunque positivo. Il 2017 si è aperto con opportunità professionali che non possono non rendermi soddisfatto. In primis, l’impegno con Diva Agatha”.
E a livello personale?
“Non posso lamentarmi. Dal punto di vista affettivo mi sento sereno: ho una famiglia, una compagna e amici veri. Poi, credo sia naturale che nel corso degli anni ci si avvicini ad alcune persone e si finisca per prendere le distanze da altre. Cambiamo noi e cambiano pure loro”.
Diva Agatha ti è stata commissionata direttamente dal Teatro Massimo Bellini. Intanto, sei un devoto della “Santuzza”?
“Più che un devoto sono un suo grande ammiratore. Agata è una femminista che ha combattuto contro molti preconcetti e, in chiave moderna, rappresenta la portavoce di chi oggi si batte contro il femminicidio. Io ho molto rispetto per l’aspetto sacro. Non sono un fatalista ma a volte nascono delle strane coincidenze…”.
In che senso?
“Sarà un caso ma, quando mi è stata comunicata la data dello spettacolo, ho ripensato al fatto che il 2 febbraio di qualche tempo fa, esattamente quando avevo 6 anni, dovetti sottopormi ad un intervento a cuore aperto che mi ha particolarmente avvicinato alla Santa proprio perché coincideva con le festività agatine. Quindi, è stata grande l’emozione quando il direttore artistico Francesco Nicolosi e il sovrintendente Roberto Grossi mi hanno proposto di comporre un’opera in suo onore. Ho sentito un’enorme responsabilità nei confronti della comunità catanese ma anche di quella cristiana più in generale, visto che sant’Agata è conosciuta in tutto il mondo. Inoltre l’idea di volerle rendere omaggio riprende una tradizione musicale che si era interrotta nel 1860 circa. Prima di allora, infatti, sono parecchi coloro i quali, sin dai primi del 500, ne hanno lodato le gesta. Tanto per citarne alcuni, Giuseppe Geremia e Tobia Bellini, fratello del compositore Vincenzo”.
Lavorare a “Diva Agatha” è stato particolarmente complesso?
“Sì perché il rischio era quello di cadere nella retorica. Con il librettista Massimo Costantino abbiamo cercato di realizzare una composizione che rispecchiasse la figura della santa in maniera autentica e originale. Diva Agatha è composta da 10 quadri, i primi 5 dedicati alla crocefissione e alla devozione, gli altri 5 alle tentazioni di Quinziano, al processo e al martirio. Abbiamo attinto materiale dagli Atti del Vaticano e deciso di trasformare quest’ultimo momento in preghiera. In una sorta di ninna nanna in cui Agata invoca il Signore ripercorrendo un momento forte e intimo nello stesso momento con tanta dolcezza”.
A proposito di ninna nanna, l’idea di diventare papà ha mai attraversato i binari della tua mente?
“Devo dire che da quando ho compiuto 40anni è come se l’istinto paterno fosse aumentato”.
Che tipo di padre sarebbe Matteo Musumeci?
“Non riesco ad immaginarmi del tutto sotto questa veste ma, sicuramente, cercherei di assecondare mio figlio fino ad un certo punto perché sono del parere che essere troppo permissivi, alla lunga, si ritorcerebbe contro. Finirei per non fare del bene né a lui, né a me”.
Cosa ti piacerebbe tramandare degli insegnamenti ereditati da tuo padre Tuccio a tuo figlio?
“Sicuramente l’ironia che va oltre alla sua figura di uomo di teatro. Sono sempre stato educato a guardare il lato positivo delle cose, ad impegnarmi affrontando vittorie ed eventuali sconfitte. E tutto ciò perché credo sia scorretto rimproverarsi qualcosa nel momento in cui si ha la consapevolezza di aver fatto del proprio meglio. L’ironia ha sempre salvato gli uomini ed è fondamentale esserne dotati ancor di più oggi che attraversiamo un periodo, dal punto sociale, particolarmente complesso”.
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31 Gennaio 2017, 18:42