20 Giugno 2020, 06:00
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PALERMO – Giovanna Nozzetti non si gira certo dall’altra parte per fare finta di non vedere. Il presidente della sezione distrettuale dell’Associazione nazionale magistrati dei Palermo sa bene che il caso Palamara è una ferita profonda. Ma crede che si possa ricucire il rapporto di fiducia con la gente. Di colpe la magistratura ne ha parecchie, ma – così dice Nozzetti – c’è anche tanta gente che lavora seriamente senza piegarsi alle logiche del carrierismo. Solo la serietà può mettere al riparo dalle “strumentalizzazioni” della politica e dai pericoli che ne conseguono.
Cominciamo dalle parole del capo dello Stato Sergio Mattarella che ha picchiato duro sul sistema delle correnti. Ha parlato di “magistratura china su se stessa”. Che effetto le hanno fatto le sue parole?
“Il presidente della Repubblica è una delle poche persone che riesce ancora a emozionarmi insieme al Papa. Dunque l’effetto è stato ed è importante. Da una parte, per la loro durezza, le sue parole alimentano la speranza che tocchino le persone che possono dare un contributo per restituire credibilità alla categoria. Dall’altra, è arrivato dal Capo dello Stato il riconoscimento che la maggior parte della magistratura è aliena da queste logiche. Possiamo ancora recuperare la credibilità attraverso il nostro lavoro e il nostro modo di essere”.
Il danno provocato dallo scandalo Palamara resta enorme. Difficile in questo momento storico immaginare che un qualunque cittadino entri con fiducia in un palazzo di giustizia. O no?
“È innegabile. C’è grande amarezza. Io non ho vissuto lo splendore delle correnti come gruppi associati che hanno dato un contribuito ideologico importante all’ordinamento giudiziario e all’elaborazione della Carta costituzionale. La crisi di credibilità è evidente. Io tenderei a fare una distinzione. Una cosa è ciò che riguarda la distribuzione degli incarichi direttivi, la scelta dei candidati e la valutazione discrezionale del csm, su cui pesa, come Palamara ha confessato, l’appartenenza a una corrente al di là dei meriti. Ma altra cosa è come viene esercitata la giurisdizione, il modo in cui la magistratura esercita il suo ruolo terzo che nulla ha a che vedere con in casi patologici che si sono verificati. Su questo fronte la credibilità deve rimanere alta, mi sento di rassicurare il cittadino”.
La magistratura ci ha messo del suo per mandare in frantumi la propria credibilità.
“È vero perché oltre ad essere si deve anche apparire imparziali. Tutto ciò che compromette questa immagine di impermeabilità al condizionamento deve essere totalmente eliminata”.
Guardando alla realtà palermitana. Lei ritiene che ci siano dei magistrati che non meritavano incarichi direttivi e ci sono finiti per il peso delle correnti?
“La mia risposta è negativa perché sono estranea a certe logiche, neppure ricordo chi fossero i candidati agli incarichi vari. Per quel che mi riguarda il presidente uscente del Tribunale è stato un grande punto di riferimento, così come quello della Corte di appello. Da giudice civile ho scarsi rapporti con i colleghi della Procura e non sono in grado di valutarne le capacità. In termini generali le posso dire che la nomina degli incarichi direttivi negli uffici della Procura, alla luce della gerarchizzazione delle Procure, assume un peso importantissimo. C’è l’ambizione ad andare a dirigere il lavoro dei sostituti, una cosa che non si verifica tra i giudici. Questo può spiegare perché certe dinamiche si siano verificate proprio per l’assegnazione degli incarichi direttivi delle Procure. Il mio è un discorso generale, indipendentemente dalla persona che di volta in volta va a ricoprire l’incarico. Non ne faccio una questione di nomi”.
Come si risolve?
“Ad esempio ridimensionando la verticalizzazione delle Procure, ci siamo confrontati spesso su questo tema”.
Tra i suoi colleghi ha percepito maggiore malessere per le carriere ‘frenate’ o per la perdita della credibilità dell’intera categoria?
“Ci siamo confrontati per dare spazio alle richieste e agli sfoghi di ciascuno. Un collega ha detto che solo la percezione e la consapevolezza della malattia del sistema giustizia può portare a trovare una terapia. Terapia che non può essere quella di eliminare le guarentigie della magistratura, che sono presidi di democrazia. Chi utilizza le prerogative della magistratura per fini individuali o ambizioni di carriera tradisce i principi della Costituzione. Le guarentigie non sono attributi di prestigio dei singoli perché se tali si mostrano si corre il rischio che tutta questa vicenda possa essere strumentalizzata per imbrigliare la magistratura. Attenzione, la patologia del sistema va risolta senza lasciare spazio a dubbi, ma senza strumentalizzazioni”.
Quando parla di strumentalizzazione si riferisce, ad esempio, all’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini che ha detto di sentirsi sotto attacco. Insomma, la magistratura lo vorrebbe fare fuori.
“Ancora una volta le rispondo senza alcun riferimento a singole vicende e singoli nomi. In generale il problema è da sempre la tendenza a vedere in ottica politica le iniziative della magistratura. Rosario Livatino 30 anni fa fece una conferenza sulla politicizzazione della magistratura. Quanto più si dà spazio al sospetto che l’operato sia imparziale e più ci espone al rischio che certe azioni giudiziarie legittime siano viste come strumentali e politicizzate”.
Beh, allora si riferisce proprio a Salvini.
“Capisco che le ci provi facendo il suo mestiere, ma non entro nelle questioni specifiche. Non le commento”
Torniamo alle carriere dei magistrati e alla verticalizzazione. L’ambizione di carriera non è una colpa.
“Concordo pienamente. Le posso assicurare una cosa, però. Tanti colleghi giovani, dunque lontani dall’avere aspirazione carrieristiche, ma anche i meno giovani che sanno di potere dare il meglio di sé, come me che non ho doti manageriali, nel lavoro quotidiano, si sentono offesi dal carrierismo e dal fatto che si faccia di tutta l’erba un fascio. Tra coloro che ricoprono incarichi direttivi e semidirettivi ci sono colleghi che hanno i requisti e i meriti necessari. Non personalizziamo, di fronte al mercimonio avverto desolazione, amarezza e anche voglia di riscatto per dimostrare alla gente che non siamo in vendita. Abbiamo un codice etico rigido, basterebbe attenerci a quei criteri per essere dei magistrati eccellenti. Ogni tanto qualcuno lo dimentica”.
Una curiosità, a quale corrente è iscritta?
“Non sono iscritta ad alcuna corrente. Quando si concorre per l’Anm ci sono delle liste e io mi sono candidata nella lista di Magistratura indipendente senza mai essere iscritta e senza avere alcuna indicazione dalla corrente. Abbiamo lavorato in totale autonomia. È vero, ci siamo siamo occupati di questioni locali, ma abbiamo trovato una sintesi. Sarebbe stato importante che fosse avvenuto anche livello nazionale”.
Più bravi a Palermo o meno bravi altrove?
“La differenza la fanno sempre le persone. E a Palermo ci sono persone che sanno prescindere dalle correnti a cui appartengono e allora la quadra si trova. Abbiano avuto questioni delicate da affrontare e c’è stata armonia e compattezza. Ad esempio, anche per questa intervista, altre volte abbiamo detto no, oggi c’è stata concordia. Diciamo, un’armonia spontanea.
Insomma, le correnti non sono il male assoluto?
“Non lo erano prima e non lo sono adesso. Va evitato il peso delle correnti all’interno del Csm e il collateralismo con la politica. Se il confronto ideologico resta interno alla magistratura è sano e arricchisce, se invece la corrente diventa collaterale ad espressione politiche non va bene”.
Cosa ne pensa dei magistrati che scelgono di candidarsi?
“Nulla in contrario, a condizione che non ritornino a fare i giudici. La scelta dovrebbe essere radicale e decisiva. Se si ritiene più prestigioso o si ritiene di avere una maggiore inclinazione per la politica è legittimo candidarsi. Sono convinta che nel Dna di ciascuno di noi ci sarebbe la capacità di tornare ad essere indipendenti e terzi, ma purtroppo resterebbe il sospetto sulla nostra imparzialità e non ce lo possiamo permettere”.
Il dibattito è incentrato sulle correnti, il potere e le poltrone. Non si finisce per perdere di vista gli altri problemi della giustizia. Ad ogni inaugurazione di anno giudiziario si parla di riforme ma il sistema continua a non funzionare.
“Quello che venuto fuori con il caso Palamara è un tema molto serio. La percezione di gravità non è soggettiva, ma oggettiva. Ma non è l’unico problema. Sulla giustizia indubbiamente, soprattutto quella penale che sconta le maggiori criticità, le riforme hanno sempre mancato l’obiettivo. Non vorrei ci fosse un interesse trasversale a fare funzionare male la giustizia. Se ci fosse un interesse vero, trovare le soluzioni non sarebbe complicato. Occorrerebbe uno sforzo di onestà intellettuale, senza interessi faziosi. Dopo 40 anni discutiamo ancora perché in processi durano tanto e non si è fatta una riflessione serie sulla efficienza”.
Perché la politica non vuole riformare la giustizia?
“Perché quando la scuola non funziona ce la prendiamo con i gli insegnanti, mica con il ministero. Così ce la prendiamo con i magistrati. Ho l’impressione che questo dire che la giustizia va male e che i magistrati, leggendo le ormai note chat, sono tutti responsabili possa legittimare delle riforme che in qualche modo imbavaglino la magistratura. Il non intervenire è anche causa di questa deriva. È un pericolo che avverte innanzitutto il Capo dello Stato. Se le riforme calano dall’alto si butta il bambino con l’acqua sporca”.
Provo a fare una sintesi io. La politica ha paura della magistratura, ma non rispetto.
“La magistratura fa sempre paura, perché in un processo una parte vince e una perde. È un potere dello Stato, la politica dovrebbe assicurarsi che questo potere venga sempre esercitato in maniera imparziale. La politica non deve volere imbrigliare la magistratura, ma esaltarne l’imparzialità”.
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20 Giugno 2020, 06:00