20 Giugno 2009, 09:00
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Si impiega meno tempo in aereo da Palermo a New York che non in treno da Trapani a Siracusa perché le Ferrovie nella Cenerentola chiamata Sicilia, lungo questi 400 chilometri pari a meno di cinque ore di macchina, offrono tratte da anteguerra, percorrenze da 10 a 15 ore. E se, perdendo il treno delle 7.06 che impiega appena 11 ore e 32 minuti, il manager americano interessato alle tragedie greche di Siracusa errasse al punto da salire a bordo della carrozza in partenza da Trapani alle quattro del pomeriggio arriverebbe 15 ore e 29 minuti dopo, cioè alle 7 e mezzo del mattino successivo. Ovviamente dopo una notte d’inferno e solo fidando in un perfetto incastro delle coincidenze, scongiurando ritardi e intoppi, frane e guasti ormai all’ordine del giorno. Cliccare su Internet per credere. La stampata con il logo verdolino di Trenitalia sfiora il ridicolo per l’azienda e chi la guida, uscendo fuori dal computer dell’agenzia dove mister Scott Davido ha provato a informarsi prima di noleggiare un’auto, come aveva calorosamente consigliato sin dal primo momento la signorina Maria dal suo banco dell’agenzia di viaggi a due passi dalla Stazione Notarbartolo di Palermo.
Si cancella così l’ipotesi di usare il treno per raggiungere Trapani, le saline, Motia e poi tornare indietro verso Siracusa per tragedie greche che, correndo (si fa per dire) sui binari, rischierebbero di diventare tragedie siciliane. Lasciamo andare in auto mister Scott e consorte, lasciamo scoprire al manager e alla signora Tracy arrivati da Minneapolis l’altro dissesto dell’isola, sfregiata da malridotte strade e autostrade, e saliamo noi a bordo di malandate carrozze, costretti a vere e proprie tradotte, roba da primi binari del Far West, visto che la velocità resta quella della diligenza, o del carretto. La prima amara scoperta riguarda la rivisitazione della geometria. Nonostante la forma triangolare, nella Sicilia chiamata Trinacria le Ferrovie al viaggiatore che si dovesse muovere fra Trapani e Siracusa impongono di percorrere i due lati, da Palermo a Messina e da Messina a Siracusa, anziché tagliare dritto dalla capitale dell’isola verso Catania. No, non si può perché anche chi parte da Palermo per Catania, duecento chilometri, due ore di auto o due e mezza di pullman, viaggia «via Messina centrale», impiegando da 5 ore e 23 minuti a 5 ore e 37, fatta eccezione per quel fulmine d’acciaio che schizza da Palermo alle 8.08 e irrompe nella città dell’Etna alle 11.48, «appena» 3 ore e 40 minuti. È la tratta della «Freccia rotta», come l’ha chiamata polemicamente Giuseppe Castiglione, il presidente della Provincia di Catania, partito dalla sua città con un nugolo di parlamentari bipartisan eletti in Sicilia alla volta di Palermo nello stesso giorno in cui si inaugurava l’alta velocità fra Bologna e Milano. Appunto, «Freccia rossa» contro «Freccia rotta». Un’ora contro cinque.
Una protesta civile per invocare un diverso sviluppo. Opposto a quello visibile a due passi dalle stazioni delle due più grandi città siciliane con piazzali stipati da pullman di linea parcheggiati in terza e quarta fila, in attesa di passeggeri che optano per l’autostrada e non si sognano di salire in carrozza. Fatta eccezione per chi viaggia verso Roma, Milano o Torino e per i tanti pendolari che organizzano ogni giorno una protesta, come ben sa Giacomo Fazio, il presidente del «Comitato Sant’Agata, Palermo, Punta Raisi»: «Stanchi dei continui ritardi, delle soppressioni, della sporcizia, degli aumenti, abbiamo deciso di farci sentire, non solo lamentandoci tra di noi di vetri rotti, aria condizionata che non funziona, puzza ai gabinetti, la porta che non si apre…». Ma ci sarà qualcosa che va? E mentre lasciamo Palermo verso Messina Fazio sorride: «È migliorata la puntualità su quel metrò anteguerra che collega Palermo all’aeroporto. I dirigenti delle Ferrovie si vantano di avere raggiunto il 98 per cento di puntualità. Ma un anno fa i trenini impiegavano 45 minuti e adesso da 60 a 65 minuti. Per 20 chilometri…».
Questo della virtuale puntualità è uno dei paradossi evocati mentre, lasciata Trapani alle 7.06, raggiunta Palermo alle 9.45, dopo quaranta minuti di sosta, ripartiamo per scoprire il deserto delle stazioni intermedie fino a Messina, locali abbandonati, sale d’attesa sprangate, gabinetti disattivati, sterpaglia ovunque, come succede da Lascari a Pollina, da Castelbuono a Tusa. Tutto sotto controllo elettronico, dicono. Col sistema Scc, che sta per «Sistema di comando e controllo», una sorta di sala regìa in quello che fu un tempo lo scalo merci della stazione di Palermo da dove dovrebbe essere monitorato l’intero traffico siciliano, 1.390 chilometri di binari, 160 stazioni. Così può capitare di trovarsi da soli a Pollina, vicino a Cefalù, mentre in una solitudine siderale echeggia dall’alto un metallico «Treno in arrivo…». Avviso vocale che proviene veramente dall’alto, addirittura da un centro specializzato a Bologna. Alta e lontana tecnologia miscelata allo sfascio locale. Perché il software spagnolo che sintetizza la voce di tale «Roberto» non può dare un cuore al computer, ignora che quel solitario passeggero si chiama Francesco Bisconti, che è sordomuto dalla nascita e non potrà mai avvertire il messaggio, come a gesti racconta il malcapitato a un amico che traduce la disavventura: «Non sentivo e una volta sono rimasto su quei binari per due ore…».
Meglio rassegnarsi al disagio e tirar fuori ogni giorno un nuovo libro come fa Adriana Fichera, casa a Capo d’Orlando e ufficio alla Provincia di Palermo, due ore per andare, due ore per tornare, pendolare da otto anni, un lenzuolino in borsa: «Appena arrivo lo stendo sulla poltrona. La pulizia qui è un optional. Mai in bagno. Saranno 150 chilometri, dovremmo impiegare un’ora e mezza e invece capita di arrivare a 3 ore…». Ed estrae il libro del giorno mentre compare il profilo di Villa Cattolica, della Bagheria di Guttuso, la Baaria di Tornatore. Una sorta di viaggio letterario per questa viaggiatrice innamorata della rocca di Cefalù, la città del Mandralisca e del suo Antonello da Messina, delle altre tappe dove resta il tocco di Vincenzo Consolo spesso in vacanza nella sua Sant’Agata di Militello, ovvero di Lucio Piccolo quando si arriva a Capo d’Orlando e sulla costa s’intravede la residenza del poeta, cugino di Tomasi di Lampedusa. Beh, i tempi lo consentono. Meglio distrarsi e leggere lungo questi binari di una Sicilia che sembra ferma. Come se le solfatare fossero ancora piene di carusi, la mafia rurale non fosse stata surclassata da quella urbana, Enrico Mattei stesse per inaugurare il Petrolchimico di Gela. La storia in Sicilia si arresta sui binari. E ha fatto bene mister Scott a noleggiare l’auto per la lontanissima Siracusa dove ha già visto Medea quando arriva il treno da Trapani.
Tratto da Corriere.it del 19 giugno 2009
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20 Giugno 2009, 09:00