02 Giugno 2018, 06:02
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È difficile in questi giorni fare un giro per Messina senza imbattersi in un candidato. Ce ne sono 1.700 in queste pazze amministrative sullo Stretto. Pazze non solo per l’esercito degli aspiranti consiglieri comunali e di circoscrizione, un numero abnorme. Ma anche per la folla dei candidati sindaco, ben sette, tutti abbastanza attrezzati, nessuna comparsa. Sarà una sfida all’ultimo voto in una Messina scossa da una lunga scia di scandali che negli ultimi vent’anni hanno coinvolto i centri di potere cittadini. E dove la procura ha indagato, con l’inchiesta “Matassa” che ha visto in questi giorni spuntare un nuovo pentito, sulle presunte pratiche di voto di scambio tra il 2012 e il 2013. Il processo è in corso e vede tra gli imputati l’intramontabile Francantonio Genovese.
Di scambio “costante” tra politica e ambienti criminali ha parlato qualche tempo fa in un’intervista alla Gazzetta del Sud il procuratore capo Maurizio De Lucia: “Non c’è ragione di ritenere che non sia andata così anche di recente”.
Per capire qualcosa di queste elezioni sullo Stretto, bisogna prima sforzarsi di capire qualcosa di Messina. E non è semplice. Perché questa è una città dove l’assurdo e la realtà si sovrappongono. È la città in cui i Tir fino a poco tempo fa sfrecciavano sulle vie del centro, come se colonne di camion transitassero ogni giorno a Palermo su via Libertà. È la città dove esistono ancora le baracche in quartieri complicatissimi come Mangialupi. È la città che tre anni fa rimase senz’acqua corrente, non una zona ma una città intera, per settimane. In una città così è arduo aspettarsi che la disfida elettorale possa essere “normale”. E in effetti qui non lo è.
Camaro San Paolo, quartiere popolare della città, tardo pomeriggio. Una piazzetta ridotta in condizioni inenarrabili: fioriere distrutte, spazzatura ovunque, erbacce, lo scheletro triste di un’altalena senza più sedili, i lampioni stradali distrutti con le plafoniere squagliate. Cateno De Luca monta su un minuscolo palchetto e apre così il suo comizio: “Che schifo questa piazza, fa proprio schifo!”. Il tribuno di Fiumedinisi è la superstar di questa campagna elettorale, cominciata per lui molto prima degli altri. Si parla tanto di lui, anche tra gli avversari. Serpeggia l’impressione che il deputato regionale fuori dagli schemi possa essere la sorpresa di questo voto.
“Ci troviamo in una zona in cui il voto rischia di non essere libero. Noi veniamo a mani nude”, dice subito De Luca alla piccola folla nel quartiere popolare (li gira tutti, fa anche sei comizi al giorno), mostrando i palmi come un martire cristiano dei primi secoli. “Lo dico sempre, ovunque vado”, ci aveva detto poco prima, a Bisconte, altra zona dimenticata, incontrando i residenti delle case popolari, un casermone di palazzoni ridotti in condizioni pietose, tra sporcizia e vetri infranti lì dove giocano i bambini, a due passi dalle “casette”, che non sono le baracche ma ci sono imparentate. Qui, raccontano i residenti, ogni tanto manca l’acqua, si può restare al buio per mesi, il garage è inagibile e le discariche a cielo aperto sono la regola. De Luca batte a tappeto queste zone. A Camaro San Paolo in piazza c’è anche qualche momento di tensione, un paio di persone contestano animatamente, l’aria si fa pesante. Poco prima De Luca ci aveva raccontato, a proposito dell’atmosfera in certe zone della città: “Al Villaggio Cep ho fatto un comizio con dieci persone. Ma ne vedevo tante dietro alle finestre, che guardavano, ascoltavano, senza farsi vedere. A Santa Lucia sopra Contessa mi sono venuti ad ascoltare in dieci per le Regionali, poi ho preso più di cento voti”.
Lo scatenato Cateno ha puntato i voti antisistema, quelli che allo scorso giro premiarono l’attuale sindaco Renato Accorinti e che alle ultime Politiche hanno visto i 5 Stelle fare il pieno a Messina, come altrove in Sicilia. “Antisistema Cateno? Ma se per anni è stato deputato regionale e ha distrutto il territorio a Fiumedinisi?”, obietta Gaetano Sciacca, già ingegnere capo del Genio civile su cui hanno puntato i grillini. “De Luca fa i comizi contro di me, sa che sono l’avversario da abbattere. Io l’ho querelato”, racconta Sciacca, che parla di rischio inquinamento del voto e racconta della sua delusione per l’operato di Accorinti, che cinque anni fa lui sostenne: “Ha mancato i suoi obiettivi”, sentenzia Sciacca, che domani aspetta Gigi Di Maio, pratiche romane permettendo, per ricevere una spinta alla sua campagna. Renato Accorinti, ovviamente, la pensa in un altro modo.
Il sindaco si presenta nella sua stanza in t-shirt, come sempre. Alla scrivania la bandiera del Tibet, appesa alla parete la foto dell’amico clochard Vincenzo, a cui il Comune ha intitolato un rifugio per i senzatetto, “La casa di Vincenzo”. “Ho aperto anche il Comune per dare un ricovero la notte ai senzatetto quando c’era molto freddo”, ricorda il sindaco pacifista, che sulla maglietta porta l’hashtag della sua campagna #cicoppaaccorinti, cioè “è colpa di Accorinti”. Cosa? Tutto, secondo gli avversari. E allora, la trovata mediatica è rovesciare l’accusa, con un compendio di cento pillole, cento cose fatte dall’amministrazione, con la chiosa #cicoppaaccorinti. Il sindaco è sostenuto da tre liste civiche e ha ancora un suo consenso. “Io sono stato sindaco a differenza degli altri candidati. E posso dire quello che ho fatto. Che poi era il mio programma”. La prima vittoria che Accorinti rivendica è quella contro il transito dei Tir in centro: “Il Porto di Tremestieri è stata la risposta. Dopo 50 anni di sottomissione al passaggio dei Tir dal centro. Una volta uno è finito a mare. E abbiamo avuto morti. Io mi sono sempre battuto per la questione dei Tir, una volta ho occupato una strada e mi hanno fatto 20 milioni di lire di multa. Tra diciotto mesi avremo la liberazione definitiva della città”.
Nella sala intitolata a Peppino Impastato, Accorinti ripercorre la sua esperienza da sindaco. “Ho trovato 450 milioni di debiti, le tre partecipate devastate. Avevamo 14 autobus per una città che ha un’estensione maggiore di Milano. Ho messo tre direttori presi da fuori per il loro straordinario curriculum, siamo passati dal clientelismo al diritto”. Il sindaco ricorda i rapporti con “Premi Nobel, come Dario Fo e il Dalai Lama”, la giornata della memoria organizzata da Libera, gli accordi siglati con gli altri sindaci dello Stretto, anche quelli della sponda calabrese. Domani verrà da Napoli un altro sindaco senza partito, Luigi De Magistris, a dargli una mano in campagna elettorale.
Ma la sfida per Accorinti è in salita. La lepre da inseguire al primo turno sembra Dino Bramanti, il candidato del centrodestra spinto dalla bellezza di dieci liste. Il direttore del Centro Neurolesi Bonino Pulejo, eccellenza della sanità, è stato lanciato da Nello Musumeci e Ruggero Razza. Al suo fianco i big del centrodestra, con nomi “ingombranti” come il solito Francantonio. Ben due liste delle dieci che lo sostengono hanno il marchio politico della Genovese family. “Abbiamo la nostra testa, la nostra autonomia, la nostra libertà – rivendica Bramanti al riguardo -. La coalizione ci dà un contributo ma abbiamo chiesto delle garanzie”. La sfida per Bramanti è quella di vincere al primo turno, per schivare le insidie del ballottaggio, dove l’outsider di turno può far male, come accadde cinque anni fa quando Accorinti sconfisse il candidato del Pd, allora c’era Genovese, a cui al primo turno era mancata qualche decina di voti per vincere. Fondazione Bonino Pulejo vuol dire salotto buono, buonissimo della città. Bramanti si sente addosso il marchio dell’establishment? “Stamattina sono stato al mercato di Giostra – racconta il professore nel suo quartier generale di Piazza Fulci dove domina l’azzurro – e sì, all’inizio avverto che la gente pensa che io non abbia radici popolari, che io sia il ‘professorone’. Ma poi, quando ci conosciamo e parliamo, emergono le storie di persone che ho seguito, che ho curato. Oggi un infermiere mi ha abbracciato ricordandosi d quello che avevo fatto per una bambina ammalata”. Ma Messina si può curare? “Man mano che conosciamo la situazione del Comune la preoccupazione è pari alle aspettative che si stanno creando attorno a noi. C’è una grande emergenza, quella dei giovani che se ne vanno, sette al giorno, l’anno scorso 2.890. Dobbiamo fermare quest’emorragia e per farlo dobbiamo essere bravi a spendere i fondi che ci sono”. Giovani, sicurezza e legalità, sanità e macchina amministrativa sono i punti principali del programma di Bramanti.
Ma il professore spinto da Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, Diventerà Bellissima, Popolari e autonomisti, Popolo della Famiglia e altre civiche (una sua, due dei Genovese, una di Germanà) ha tre spine nel fianco in questa competizione. Una è Cateno De Luca, che dal centrodestra proviene e anche da quelle parti pesca. E poi ci sono gli altri due candidati d’area. C’è Emilia Barrile, già genovesiana di ferro e collettore di preferenze di peso. Presiedeva il consiglio comunale, per lei si era parlato di una candidatura alle Politiche ma non se n’è fatto niente. Ha rotto col partito scegliendo di correre in solitaria. Come Pippo Trischitta, ex An e già capogruppo di Forza Italia al Comune, uno dei pochi non genovesiani in quel gruppo. Sogna una “Messina Splendida”, come si chiama la sua lista, definisce Bramanti e Saitta “rappresentanti dei poteri forti”, quelli di Genovese e Navarra, aggiunge. Anche lui può far perdere voti pesanti al candidato ufficiale del centrodestra. E con una tale frammentazione, non solo a destra, l’obiettivo del 40 per cento al primo turno diventa davvero complicato.
Per una destra che si presenta con quattro candidati, ecco un centrosinistra insolitamente unito. La coalizione si è compattata sulla candidatura del professor Antonino Saitta. Lo sostengono il Pd, Articolo 1 e Sicilia Futura con Beppe Picciolo. Sei le liste, incluse le civiche. Docente in quell’Università di Messina che alle ultime Politiche e Regionali ha eletto nel Pd i “suoi” candidati (l’ex rettore Pietro Navarra e l’ex direttore Franco De Domenico), Saitta è affiancato da una vice bersaniana, l’avvocato Maria Flavia Timbro. “Da Messina stiamo lanciando un importante segnale politico, quello del ricompattamento del centrosinistra, e la candidatura di Saitta è stata decisiva per questo”, dice Timbro, per la quale è il momento di “ridare dignità ai partiti” dopo “la rivoluzione mancata di Accorinti”. Una campagna elettorale on the road quella di Saitta e Timbro, anche con i comizi in piazza di una volta: “La politica si deve riavvicinare alla gente per ascoltarla”, dice la candidata vicesindaco. Una mano alla causa la danno anche gli amici di Gianpiero D’Alia, già leader dell’Udc, in stand by dalla politica dopo le ultime elezioni. Più defilato l’ex presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone, che dal suo studio legale guarda la partita e commenta così queste amministrative: “Messina da qualche tempo è pervasa da una sorta di isterismo collettivo: non si spiegherebbe altrimenti la sproporzione tra il numero degli elettori e le migliaia di candidati aggregati non sulle idee ma dalla vicinanza dell’amico della porta accanto. Mi sarei aspettato una maggiore attenzione sulle potenzialità di Messina quale città metropolitana, status per il quale, in solitudine, mi sono battuto”.
Già, perché è anche città metropolitana questa Messina dove nei sussurri l’ombra della massoneria sembra allungarsi su tutto. Dove anche il Palazzo di giustizia è stato per anni, in passato, un luogo di inquietanti sospetti e veleni. È città metropolitana ma della metropoli non si sente l’aria, basta fare un giro la sera in centro, dove non mancano i locali interessanti ma la movida si vede poco o nulla. La sensazione del cronista è quella di un luogo quasi sedato. Dove anche la cultura e l’arte sentono l’affanno di una situazione precaria. Ne sa qualcosa l’attore Ninni Bruschetta, passato dalla direzione del Teatro Vittorio Emanuele e poi revocato in nome della spending review: “Spero che al ballottaggio vadano Saitta e Accorinti, sarebbe la cosa migliore per la città”, ci dice quando lo incontriamo per caso nelle vie del centro. Intanto, le periferie sprofondano in un ritardo che si protrae da decenni, un sottosviluppo che ha fatto comodo per raccogliere voti. Anche a colpi di sacchetti della spesa, almeno secondo il racconto dei pentiti. “Visti i precedenti, il rischio di inquinamento del voto c’è”, dice il grillino Sciacca. E tutto sommato, guardando alle cronache recenti da mezza Sicilia, questa è forse una delle poche cose tristemente “normali”, tra molte virgolette, nella Messina che va al voto.
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02 Giugno 2018, 06:02