“Se Messina Denaro dà l’ordine…”| L’ultimo mistero sul latitante

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05 Ottobre 2016, 05:58

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PALERMO – “lo me ne andrei a Castelvetrano e andrei a parlare a quello”. Il riferimento diventava esplicito in un passaggio successivo della conversazione intercettata: “Se gli dà ordine quello… quello di là, Messina Denaro se gli dà l’ordine quello, questo deve fare quello che dice quello”.

Il fantasma dell’ultimo dei padrini latitanti fa capolino nei dialoghi dell’inchiesta sulla mafia di San Giuseppe Jato e Monreale. Evocato – è già accaduto altre volte – come l’unico capace di zittire tutto e tutti. A tirarlo in ballo stavolta è l’uomo che accompagnava Onofrio Buzzetta al cospetto di Rosario Lo Bue. Buzzetta era uno dei mafiosi che, secondo l’accusa, entrò in rotta di collisione con il vertice del clan di Monreale. Avrebbero voluto addirittura eliminarlo, ma la faida per il potere nella cittadina alle porte di Palermo è stata stoppata dai carabinieri.

Buzzetta cercò la protezione di Lo Bue, arrestato nei mesi scorsi con l’accusa di avere raccolto l’eredità di capo del mandamento di Corleone. Una protezione che, a giudicare dall’evoluzione delle indagine, Buzzetta avrebbe ricevuto. Sarebbe stato un certo Masino l’uomo in grado di fare giungere l’ambasciata a Messina Denaro per mettere in riga i nuovi boss di San Giuseppe Jato: “E vedrebbero se loro fossero qua ancora… lui pure c’è stato agghiri cà (da queste parti, ndt)”. “Lo so”, diceva Buzzetta. Parlavano della presenza del latitante nella zona di San Giuseppe Jato? Millantavano conoscenze che non avevano? Messina Denaro sarebbe davvero interessato alle faccende di una fetta della provincia di Palermo indaffarato com’è a vivere come un fantasma per sfuggire all’arresto?

Già altre volte, in passato, si era ipotizzato che il capomafia di Castelvetrano potesse avere contatti con i mafiosi di Palermo. Da Mimmo Raccuglia, boss di Altofonte arrestato dopo una lunga latitanza, a Giulio Caporrimo, in cella con l’accusa di essere il reggente del mandamento di San Lorenzo. San Lorenzo, dove comandava Mimmo Biondino che dal latitante avrebbe ricevuto l’input per organizzare l’attentato contro il pm Antonino Di Matteo.

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Ipotesi solo ipotesi di contatti con Messina Denaro, inafferrabile dal 2 giugno 1993. Le ultime sue tracce sono le lettere confidenziali che si scambiava con Svetonio, lo pseudonimo di Tonino Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano, assoldato dai servizi segreti per stanare il latitante. Poi, i pizzini recuperati a Montagna dei Cavalli, l’ultimo covo di Bernardo Provenzano. Ci sono pure i pizzini che nessuno ha mai letto. Quelli veicolati dalle catene di postini. L’ultima era gestita dall’anziano boss di Campobello di Mazara, Vito Gondola. La posta andava letta e subito distrutta, come avrebbe fatto Leo Sutera di Sambuca di Sicilia.

Persino Totò Riina nelle conversazione con il suo compagno di cella nel carcere di Milano Opera usava parole dure contro il latitante. Gli rimprovera di infischiarsene dei problemi del suo capo. “A me dispiace dirlo questo… questo signor Messina (Matteo Messina Denaro ndr) – sbottava Riina – questo che fa il latitante che fa questi pali eolici… ci farebbe più figura se la mettesse nel culo la luce e se lo illuminasse, ma per dire che questo si sente di comandare, si sente di fare luce dovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi ma non si interessa…”.

Le indagini ci consegnano la figura di un boss guardingo fino all’ossessione. Due sole sarebbero state le sue sbavature. Una volta il latitante si sarebbe fatto vivo con la sorella Patrizia, pure lei in cella. “Matteo dice… “. Il fratello ordinava e lei eseguiva quando c’erano in ballo direttive importanti. Come quando si era sparsa la voce che Giuseppe Grigoli, il braccio economico di Matteo Messina Denaro, l’uomo del business della grande distribuzione targata Cosa nostra, avesse iniziato a parlare con i magistrati. E Vincenzo Panicola aveva incaricato la moglie Patrizia di capire quale contromisura prendere. In ballo, forse, c’era addirittura l’ipotesi estrema di eliminare Grigoli. Poi, arrivò il diktat di Matteo: “Non toccatelo, perché se parla può fare danno”.

Siamo nel luglio del 2013, stesso periodo di un’altra intercettazione che confermerebbe la presenza di Messina Denaro in Sicilia. Giovanni Santangelo, zio materno del latitante, spiegava alla sorella Rosa che “gli servivano i soldi… e da quello che mi ha detto, io il collo mi sono andato a… li doveva dare a quello…”. Poi, abbassando il tono della voce, aggiungeva il nome destinatario della somma: “Mattè”. Ed ancora: “Enzo mi ha detto devo darli a quello e li vuole”. Enzo sarebbe Lorenzo Cimarosa che avrebbe suggerito ai Santangelo la strada per recuperare in fretta e furia il denaro che, evidentemente, in quel momento lui non aveva disponibile: “… dice ‘vai pure da quello’… dice ‘ma altri 4-5 dove li possiamo trovare?'”. Ipotesi, solo ipotesi legate all’ultimo padrino latitante.

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05 Ottobre 2016, 05:58

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