07 Marzo 2018, 19:09
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PALERMO – Gennaio 2015. Le tensioni scuotevano il clan. Fu convocata una riunione a Strasatti, vicino a Petrosino. Ed è qui che Nicolò Sfraga, uno degli imputati per cui è arrivata una richiesta di condanna, fece sapere che non era una sua iniziativa. Stava agendo per conto di Matteo Messina Denaro.
“Iddu”, il padrino di Castelvetrano, richiamava tutti all’ordine e al rispetto delle gerarchie. Serviva buon senso. In caso contrario, così ordinava il latitante, avrebbe scatenato la sua violenta reazione, uccidendo i riottosi. Veritiero o no, il racconto di Sfraga fece presa sui presenti. Che obbedirono.
Le gerarchie andavano rispettate. In quel momento l’uomo forte era Vito Vincenzo Rallo, che reggeva la famiglia di Marsala con il benestare di Messina Denaro. Ai suoi ordini si muovevano due gruppi. Il primo era capeggiato da Sfraga, fedelissimo di Rallo, mentre Vincenzo D’Aguanno, leader della seconda fazione, soffriva il potere del capo. Mal digeriva soprattutto la sparizione dei soldi sporchi. I contrasti erano all’ordine del giorno.
E così si arrivò alla riunione del 2015, nel corso della quale si parlò della presenza in Sicilia del latitante e si delinearono gli assetti del clan marsalese. Del latitante non c’è traccia, segno probabilmente di una presenza sbandierata solo per consentire a Sfraga di occupare una posizione di potere.
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07 Marzo 2018, 19:09