18 Luglio 2013, 06:00
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MESSINA – Beni e attrezzature noleggiati a prezzi gonfiati. Affitti spropositati per le sedi delle lezioni. Materiale comprato da ditte “compiacenti” o addirittura create dagli stessi responsabili degli enti di formazione finiti sotto inchiesta. Ecco come funzionava, secondo l’accusa, il sistema della Formazione professionale a Messina. Un sistema che si fondava sul meccanismo delle sovrafatturazioni. Sono dieci le persone finite in carcere o ai domiciliari: Elio Sauta (ex consigliere comunale del Pd), la moglie Graziella Feliciotto, Chiara Schirò (moglie del deputato del Pd Francantonio Genovese), Concetta Cannavò (è l’ex tesoriere provinciale del Pd), Natale Lo Presti, Nicola Bartolone, Carmelo Capone (ex assessore della giunta Buzzanca), Natale Capone, Giuseppe Caliri, Daniela D’Urso (moglie dell’ex sindaco del Pdl Giuseppe Buzzanca). Per Carlo Isaja è scatatta la sospensione per due mesi dall’Ispettorato provinciale del lavoro di Messina.
Non sono gli unici indagati dell’inchiesta che ha travolto gli enti di formazione Lumen, Aram e Ancol. Dalle carte dell’inchiesta, infatti, spuntano i nomi degli imprenditori Salvatore Giuffrè e Salvatore Natoli, e di Daniela Pugliares (dipendente dell’Ancol). Oltre a quelli delle società Elfi Immobiliare, Sicilia Service, Centro Servizi 2000 e associazione Pianeta verde. Tutte con sede a Messina. Sono le società che avrebbero fatto parte del meccanismo illecito smascherato dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e dai pm Camillo Falvo, Fabrizio Monaco ed Antonio Carchietti. I rappresentanti legali dei centri di formazione, attraverso la compiacenza dei titolari di alcune società con i quali erano legati da vincoli di parentela o di fiducia, riuscivano – secondo gli inquirenti – a documentare spese a prezzi notevolmente superiori a quelli di mercato. I centri in questione, che hanno come scopo l’organizzazione – senza fini di lucro – di corsi formativi, avrebbero così ottenuto finanziamenti per importi di gran lunga superiori ai costi effettivamente sostenuti.
Tra il 2006 ed il 2011 l’Aram, la Lumen Onlus e la Ancol avrebbero ottenuto l’approvazione di una sfilza di progetti. Trentadue quelli dell’Aram per un finanziamento complessivo superiore a 23 milioni di euro; 15 quella della Lumen per 3 milioni e 300 mila euro; 20 quelli dell’Ancol per 16 milioni e 654 mila euro. Per legge gli enti di formazione devono avere lo status di associazioni senza scopo di lucro con il fine di gestire, per conto della Regione, denaro pubblico. Ecco perché ogni progetto deve essere presentato, approvato e rendicontato. Finanzieri e poliziotti hanno cercato di ovviare alla carenza dei controlli da parte della Regione e si sono ritrovati immersi in un mare di carte, fatture e pezze d’appoggio.
L’Aram e la Lumen hanno sempre camminato a braccetto. Anche negli assetti societari. Il presidente dell’Aram è Elio Sauta, che peraltro è anche vicepresidente dell’Esofop e risulterebbe coinvolto nella gestione di fatto del Cesam. La Lumen Onlus (Libera Università Mediterranea di Naturopatia) alla data del 17 giugno 2005 risultava avere il seguente consiglio direttivo: Concetta Cannavò (indicata come la segretaria di Francantonio Genovese, marito di Chiara Schirò), Elena Schirò, Graziella Feliciotto, moglie di Sauta, e Domenica Armaleo. A loro volta, i due enti di formazione hanno fatto affari, fatture alla mano, con le altre società indagate. La Trinacria 2001 s.r.l (in liquidazione da gennaio 2007 e fino ad allora data amministrata da Graziella Feliciotto, tra il 2006 e il 2008 ha emesso fatture all’Aram per 247 mila euro. I documenti si riferiscono ai servizi di pulizia e all’affitto di alcuni locali ad Agrigento. E sono proprio i costi dei servizi di pulizia ad essere bollati come spropositati dagli investigatori che storcono il naso di fronte alle due fatture da 84 mila e 28 mila euro per le pulizie delle sedi di Messina (viale principe Umberto), Catania (via via XX Settembre), Palermo (via Castellana) ed Agrigento (via Imera). Eppure dicono i pm, i numeri della Trinacria sono ben lontani da quelli di una ditta che poteva accollarsi un simile appalto: appena cinque dipendenti con stipendi compresi tra 400 e 800 euro al mese.
Altra pedina del sistema sarebbe la Elfi Immobiliare con sede in piazza Francesco Lo Sardo, nella città dello Stretto. È stata amministrata negli anni da Salvatore Natoli prima, da Elio Sauta poi, e infine dalla moglie Graziella Feliciotto. La società ha avuto rapporti continuativi con l’Aram dal 2008 al 2012 emettendo fatture per 675 mila euro. Dall’analisi degli estratti conti, emergono bonifici in favore di Sauta e della moglie per 380 mila euro. Curiosa è una spesa di 23.000 euro in una gioielleria Messinese. Le attrezzature che la la Elfi ha noleggiato all’Aram per altro risultano comprate dalla Sicilia Service e, in minima parte, dalla Napi Service, etrambe ritenute riconducibili a Natale Lo Presti.
Ed ancora, il Centro Servizi 2000 s.r.l. con sede in Villafranca Tirrena e uffici a Messina, in via Duca degli Abruzzi. Costituita nel 2004, si occupa di noleggio di attrezzature per ufficio e materiale informatico, e della relativa manutenzione. Nel 2006 la società sarebbe stata amministrata da Graziella Feliciotto, moglie di Sauta Elio, e da Chiara Schirò. Le quote sociali sono così suddivise: 11% a Feliciotto, il 29% alla s.r.l. ElFi Immobiliare; il 30% alla Ge.Imm. s.r.l. (“cioè, sostanzialmente, a Genovese Francantonio e Francesco Rinaldi 8anche lui deputato regionale del Pd ndr) – scrivono i pm – mariti, rispettivamente, di Chiara ed Elena Schirò”; il 30% alla Euroedil s.r.l. (“cioè, ancora una volta, sostanzialmente, a Genovese Francantonio”). Secondo quanto risulta dalla visura della Camera di Commercio, la società nel periodo 2010- 2012 avrebbe avuto un solo dipendente. La stessa ha avuto rapporti continuativi con la Lumen e con l’Aram dal 2006 al 2011, emettendo fatture rispettivamente per 395 mila e 542 mila euro.
A proposito della Elfi, gli investigatori legano la società ad un episodio considerato emblematico. Dalla documentazione acquisita dalla Guardia di Finanza, risulta che la società immobiliare ha preso in affitto i locali di via XX Settembre a Catania da un privato per 36 mila euro e poi li ha sub affittati all’Aram per 65 mila.
Sulla vicenda Ancol i pm citano un episodio che riguarderebbe Daniela D’Urso, moglie dell’ex sindaco Buzzanca, e direttrice della sede messinese dell’ente di formazione. È stato Ludovico Albert a raccontare che la D’Urso, si era presentata “in compagnia di tale Rinaldi, sindacalista della Uil”, e l’avrebbe “aggredito e minacciato, pretendendo di ottenere, per l’Ancol, una cosiddetta integrazione, cioè, evidentemente, un aumento dell’importo ammesso a finanziamento, per fare fronte, verosimilmente, a maggiori costi per il personale”.
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18 Luglio 2013, 06:00