Sindaco, boss, imprenditori: "Appalti truccati" nel Messinese

Sindaco, boss, imprenditori: “Appalti truccati” nel Messinese

"Evoluzione del modello tradizionale di mafia"

PALERMO – È un microcosmo di mafia e appalti pubblici truccati quello svelato dall’inchiesta che travolge i comuni messinesi Mojo Alcantara e Malvagna. Settecento abitanti il primo, poco meno di 650 il secondo.

C’è il controllo illecito degli appalti e della macchina amministrativa. E c’è pure il condizionamento mafioso del voto. Tutto questo è sfociato nella notte nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari Tiziana Leanza del Tribunale di Messina, su richiesta della Procura della Repubblica.

Tutti gli indagati

In carcere sono finiti l’imprenditore edile Antonio D’Amico, 50 anni, di Bronte, Giuseppe Luca Orlando, 46 anni di Taormina (assessore ai Lavori pubblici del Comune di Malvagna), Bruno Pennisi, sindaco di Mojo Alcantara, 47 anni, il boss Carmelo Pennisi (già detenuto), 41 anni, suo padre Giuseppe, 64 anni, e sua sorella Clelia, 42 anni, vice sindaco e assessore comunale a Mojo Alcantara. Arresti domiciliari per l’imprenditore edile di Santa Teresa Riva, Santo Rosario Ferrara, 52 anni.

Tutti tranne i due imprenditori sono accusati di associazione mafiosa. D’Amico e Ferrara rispondono di corruzione. Nel caso del primo imprenditore l’ipotesi di reato sarebbe aggravata dall’avere agevolato Cosa Nostra.

“La mafia si evolve”

“Un gruppo che rappresenta l’evoluzione del modello tradizionale di associazione mafiosa che sfrutta la fama criminale e che non abbisogno di manifestazioni esteriori di violenza – sottolinea il giudice – per intessere relazioni con la politica, le istituzioni, le attività economiche al fine di imporre il proprio silente condizionamento”.

Carmelo Pennisi avrebbe addirittura partecipato alle riunioni in cui si decidevano le nomine degli assessori.

Il pentito

L’inchiesta è partita dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmelo Porto, un tempo membro del clan Cintorino di Calatabiano ed espressione della famiglia mafiosa catanese dei Cappello. A partire dal 2019 ha raccontato la suddivisione territoriale del potere. A dettare legge nella Valle dell’Alcantara sono i Laudani e i Brunetto-Santapaola che hanno piazzato un loro referente per ogni zona.

Un ruolo che a Mojo Alcantara sarebbe spettato a Giuseppe e Carmelo Pennisi, padre e figlio. Attraverso di loro la mafia avrebbe controllato appalti pubblici e forniture grazie ad amministratori compiacenti. A volte, come nel caso di Clelia Pennisi, l’amministratore era uno di famiglia.

Il summit

Porto ha ricostruito di una riunione del 2016 i cui furono stabiliti gli accordi per gli appalti truccati a Mojo Alcantara e Malvagna. Venivano individuati titolari delle imprese che dovevano eseguire i lavori o fornire i materiali, i quali emettevano fatture gonfiate in modo da recuperare i soldi da girare ai mafiosi e allo stesso assessore.

“L’assessore riceveva in cambio sostegno elettorale dai clan per il quale doveva quindi mettersi a disposizione dei gruppi – ha messo a verbale Porto -. Il mio gruppo ha sostenuto tale soggetto nelle elezioni del 2015-2016”.

Nell’ottobre del 2019 Carmelo Pennisi è finito in carcere. I finanzieri, su ordine della Procura diretta da Maurizio De Lucia, hanno iniziato a monitorare i colloqui con i parenti. Si parlava di soldi da incassare e incassati, di lavori comunali, di cantieri fermi e altri che stavano per ripartire. Era lui a dettare legge. Sarebbe stato facile truccare i piccoli appalti pubblici affidati con trattativa diretta.


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